Guido Fly inizia il volo più importante
«Tornerò sull’Alben, con le mie gambe»

Il primo dicembre del 2017 l’ultraleggero di Giovanni Masserini precipita. Con lui c’è Guido Merelli. Da allora il mago dei droni è su una sedia a rotelle. «Sono qui, lotto per tornare a camminare. Ce la farò».

La montagna a pochi metri, il vuoto, neve e rocce si avvicinano vorticosamente, poi l’impatto, il buio e il freddo, tanto intenso da fermare il dolore. È il 1° dicembre 2017: Guido Merelli e Giovanni Masserini sono a bordo di un elicottero ultraleggero carico di macchine fotografiche e telecamere. Due amici, entrambi di Vertova. Il primo è un fotografo amatoriale conosciuto in tutta la Bergamasca per l’abilità nel manovrare i droni, il secondo un pilota con 30 anni di esperienza e diversi record in bacheca. Sorvolano il monte Alben, in Val Serina. L’obiettivo è atterrare in quota per girare qualche immagine della vetta, pezzo forte di un documentario sulle Orobie.

Non riusciranno ad arrivare alla cima. Un improvviso colpo di vento scaraventa il piccolo aeromobile sul fianco della montagna. L’eco del boato non sfugge all’udito di un escursionista che volge lo sguardo verso il pendio e pochi secondi dopo è già al telefono con i soccorritori. I due amici vengono estratti dai brandelli di elicottero e trasferiti in ospedale, dove vengono operati d’urgenza a causa dei traumi riportati nello schianto.

Sei mesi dopo Guido, che tutti conoscono come «GuidoFly» (il nickname con cui firma le sue spettacolari foto), alza il pollice e sorride di fronte allo smartphone che lo fotografa nella sala riabilitazione del centro di riabilitazione neuromotoria di Mozzo, l’ex «Casa degli Angeli». «Sono qui, lotto ogni giorno per tornare a camminare. Ci vuole pazienza, ma ce la farò».

Cammina ancora a stento, la mente invece corre veloce a quel drammatico volo. «L’immagine che ho impressa nella memoria è il terreno che viene veloce verso di noi. In quegli attimi mi sono reso conto che stava succedendo qualcosa di grave. Prima dello schianto ho avuto un unico pensiero fortissimo: mia figlia. Quando mi sono svegliato c’erano già i soccorsi intorno a noi, pronti a caricarci sull’elicottero diretto in ospedale. Giovanni mi ha detto che in quei 45 minuti ho parlato, io non ricordo nulla ad eccezione del freddo».

Con una vertebra schiacciata e la schiena a pezzi, è stato proprio il freddo, insieme all’adrenalina, a impedire che il dolore si propagasse. «Abbiamo rischiato l’ipotermia perché siamo rimasti fermi nella neve a temperature molto basse. Forse anche per quello non ho sentito molto dolore. Io tremavo in un modo micidiale, una sensazione terribile anche a pensarci a mesi di distanza. Ci hanno trasportato al pronto soccorso e lì i medici mi hanno operato per rimettere in sesto la vertebra».

Qualche ora dopo Guido apre gli occhi e capisce che le gambe non si muovono. «All’inizio non me ne sono reso conto, perché avevo il cervello completamente scombussolato. Quando ho provato a muoverle, senza però avere risposta, ho cominciato a pensare alla mia vita. Tutto quello che davo per scontato non era più tale. Nei giorni seguenti mi sono maledetto per tutte le stupidaggini di cui mi ero lamentato fino ad allora. Da sei mesi sono in carrozzina e sto vivendo tutte le fatiche quotidiane di una persona disabile. Solo ora mi rendo conto di cosa voglia dire dipendere in modo totale dagli altri, anche solo per spostarsi di pochi metri. Per fortuna, pian piano, le informazioni stanno tornando a passare dal cervello, attraverso la vertebra esplosa, fino alle gambe. Ogni giorno faccio cinque o sei ore di fisioterapia e solo con molta volontà tornerò a camminare». Bastano queste parole per capire che a Guido non manca la forza di volontà. «No, quella non mi manca. E i miglioramenti quotidiani, anche se non nascondo che alcune settimane sono molto difficili, mi aiutano molto. Abbracciare mia moglie e mia figlia di sei anni è la motivazione più forte che posso trovare. La mia riscossa».

Un altro abbraccio sarà per l’escursionista che con la sua chiamata al soccorso alpino ha salvato due vite: «L’ho rintracciato solo grazie all’interessamento di un amico. Non voleva farsi trovare, tanto che ho dovuto chiamarlo più volte al telefono prima di una sua risposta. “Non voglio essere lodato, ho fatto il mio dovere” mi ha detto, era contento del nostro recupero. Sarà la prima persona che andrò a ringraziare. Anche Giovanni Masserini è venuto a trovarmi. Ci siamo abbracciati».

«GuidoFly» tornerà in montagna, prima o poi. Ma non su una montagna qualsiasi: proprio sull’Alben. «Voglio vedere con i miei occhi dove ci siamo “fermati”. Non mi rendo ancora conto di come ne siamo usciti, perché è una zona davvero impervia. Tornare in quel punto è uno dei miei obiettivi e sono sicuro che con pazienza ce la farò. Non in volo, ma con le mie gambe. Anche se ci metterò due giorni, è meglio arrivarci passo dopo passo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA