L’alpino di Nembro morto per coronavirus
«Era la colonna del nostro gruppo»

Lo chiamavano «la roccia», eppure il virus che sta tenendo in scacco il nostro Paese, Lombardia in particolare, l’ha contagiato e se l’è portato via a dispetto della sua struttura inossidabile, rallentata soltanto negli ultimi anni.

Nembro piange un altro suo anziano, morto giovedì al «Papa Giovanni XXIII» dove era stato trasferito dopo due giorni di ricovero all’ospedale di Alzano. Positivo al coronavirus. Antonio Ardenghi aveva 82 anni ed era una colonna degli alpini di Nembro, che ora lo ricordano con sincera gratitudine e l’amarezza di non potergli rendere il doveroso omaggio. Niente funerali, per ora, niente omaggio alla famiglia che si trova costretta in casa, in quarantena.

Il rapido tracollo delle condizioni di salute di Ardenghi hanno lasciati increduli i parenti, che parlano di «una semplice influenza iniziata sabato scorso» con febbre mai sopra i 37,7 gradi. Paracetamolo, poi lunedì la visita a domicilio del medico di base (ora in quarantena pure lui), l’antibiotico e la febbre che va e viene, fino a che l’82enne mostra difficoltà respiratorie: «Faceva fatica, aveva il respiro affannoso e martedì abbiamo chiamato il 112». Poi due giorni di ricovero al vicino ospedale di Alzano, il tampone e, rivelata la positività al coronavirus, il trasferimento al «Papa Giovanni», dove Ardenghi è purtroppo mancato giovedì, tra l’incredulità dei familiari che ne ricordano «la struttura inossidabile almeno fino agli ultimi anni, quando è sopraggiunto un principio di demenza. Per il resto, Antonio non ha mai sofferto di patologie respiratorie. Era stato un gran fumatore, questo sì».

Muratore e poi operaio alla Comital, Ardenghi «lo chiamavano “roccia” – ricorda con tenerezza la moglie Maria -: era silenzioso, ma lui c’era sempre. C’era per noi e c’era per gli alpini: la sede del gruppo l’ha costruita per metà lui». Talento calcistico in gioventù, in paese lo ricordano con un buon terzino della Nembrese, fisico coriaceo e gran lavoratore: «In silenzio si è sacrificato per i quattro figli – ricorda un parente -, per anni e anni svolgendo anche un doppio lavoro senza mai lamentarsi e mai tessere le lodi di se stesso».

La stessa cifra che ne mette in risalto il capogruppo degli alpini di Nembro, Pierluigi Squinzi: «Antonio, per noi Tone, è stato una colonna portante degli alpini di Nembro, un alpino con la A maiuscola, uomo di poche parole ma di grande azione. Generosissimo, non si tirava mai indietro. È sempre stato nel consiglio direttivo fino a un paio di anni fa e ha contribuito in modo determinante a realizzare la sede nel parco Rotondo, oltre che a dare una mano nella ricostruzione della chiesetta alpina in località Canaletta. Lavorava alacremente e sempre di buonumore, metteva passione e buonumore nel fare le cose, era un elemento estremamente valido». Un costruttore di mura, «ma anche un costruttore di relazioni all’interno del gruppo – prosegue Squinzi -. C’è sempre stato al pranzo sociale, anche lo scorso mese di gennaio insieme alla moglie. Aveva rallentato nell’attività fattiva, d’azione, ma riusciva a partecipare alle celebrazioni e a qualche compito istituzionale, se riusciva. Perdiamo un elemento valido. Questa morte noi la digeriamo male sia per come è avvenuta, sia perché non possiamo rendergli nell’immediato l’omaggio doveroso che si merita. Anzi, cogliamo l’opportunità per esprimere la partecipazione al lutto per il nostro Tone e le più sentite condoglianze alla famiglia».

La scomparsa di Antonio Ardenghi lascia nel dolore la moglie Maria, i figli Giuseppe, Elisabetta, Monica e Paolo con le rispettive famiglie. In base alle disposizioni in vigore, la funzione sarà posticipata a data da destinarsi.

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