Rapina in Namibia, ucciso per il cellulare
«L’ambasciata di Pretoria segue il caso»

L’imprenditore Daniele Ferrari era nato in Africa da genitori emigrati da Castione: aveva 52 anni ed era sposato. Aggredito da due uomini in auto: c’è un identikit. Il corpo scoperto dalla sorella.

La riserva attorno al lago e alla diga di Avis, a qualche chilometro a est del centro della capitale Windhoek, era una meta frequente per lui e per le tante persone che, soprattutto nel tardo pomeriggio, lasciano il cuore della capitale della Namibia per fare jogging o portare a spasso il cane. Invece martedì sera, in questa zona ritenuta tranquilla tanto da essere anche scelta dagli Stati Uniti per costruirvi la nuova ambasciata, Daniele Ferrari, imprenditore di 52 anni i cui genitori erano originari di Castione della Presolana, è stato aggredito e ucciso a colpi di «pangas», il machete africano, e di coltelli da due sconosciuti che lo hanno sorpreso poco dopo essere salito sulla sua auto per rincasare. Gli hanno frantumato il finestrino, pare soltanto per rubargli lo smartphone, che infatti non è stato ritrovato.

Erano le 18,45 di martedì 14 luglio sia nel Paese africano che in Italia (il fuso orario è lo stesso): Ferrari – che era nato in Namibia ma che aveva sempre mantenuto stretti contatti con i familiari bergamaschi e che spesso tornava in valle dove la famiglia ha ancora una casa – ha fatto in tempo a chiedere aiuto a due persone che facevano jogging. Si sono avvicinate – ha ricostruito la locale polizia – per cercare di aiutarlo, ma i due aggressori dell’imprenditore si sono scagliati anche contro di loro, ferendole in maniera non grave.

Mentre si allontanavano per chiedere aiuto e farsi medicare (sono poi stati soccorsi in ospedale e dimessi in serata), Gloria Ferrari, sorella maggiore di Daniele – nata a Clusone ma anche lei residente fin da bambina in Namibia e tra l’altro già dipendente del corpo diplomatico dell’ambasciata italiana a Pretoria (che ha competenza anche sulla vicina Namibia) – preoccupata perché il fratello non era rincasato e non rispondeva alle chiamate al cellulare, ha raggiunto il parco di Avis e ha fatto la drammatica scoperta: ha trovato Daniele Ferrari morto nella sua auto. Immediato a quel punto l’allarme: nella zona si sono portati gli investigatori della polizia di Windhoek, che hanno ricostruito i fatti e avviato le indagini per risalire ai due aggressori, nel frattempo dileguati. Di loro è stato però diffuso un identikit, fornito proprio ai due uomini che sono intervenuti durante l’aggressione nel tentare di aiutare Ferrari.

Dalla ricostruzione dei poliziotti è emerso che il cinquantaduenne è stato prima colpito con il machete e poi accoltellato a morte. «Siamo rimasti allibiti e choccati dalla notizia – sottolinea Matteo Sozzi, cugino bergamasco della vittima – anche perché quella zona è particolarmente tranquilla, benché alcuni episodi di aggressione, non così gravi, ci siano già stati. Anzi, all’ingresso del parco, non lontano, sono presenti anche le guardie della riserva. Siamo in costante contatto con i nostri parenti in Namibia e con il consolato per seguire le indagini, che ci auguriamo possano portare a identificare i due aggressori. Purtroppo essendoci ancora le frontiere chiuse per l’emergenza sanitaria, non potremo per ora andare laggiù. Daniele è riuscito solo a chiedere aiuto ai due passanti, poi è morto». Daniele Ferrari era nato nel Paese africano 52 anni fa, poco dopo il trasferimento definitivo da Castione dei genitori, Roberto e Severina, per il lavoro del primo, imprenditore nel ramo dell’edilizia (a Windhoek esiste il quartiere «Robertos» realizzato dal lui). Alla morte del padre, nel 2013, era stato Daniele a prendere in mano le redini dell’azienda, diventando uno degli imprenditori italiani più conosciuti nella capitale namibiana.

Sposato dal 1998 con Odete Roque, angolana di famiglia portoghese, viveva con lei e gli altri familiari nel quartiere di Klein, a una manciata di chilometri dalla diga di Avis costruita nel 1932 e appunto meta di centinaia di abitanti della zona. Dove l’altra sera Ferrari ha trovato la morte in un modo così efferato.

Il ministero degli Esteri, nel confermare ieri sera il decesso di Daniele Ferrari, ucciso in Namibia durante una rapina, ha fatto sapere che «l’Ambasciata d’Italia a Pretoria, competente per la Namibia, in stretto raccordo con il ministero e con le autorità locali, segue il caso con la massima attenzione ed è in costante contatto con i familiari del connazionale per offrire ogni possibile assistenza».

Al momento i collegamenti con il Paese del sud dell’Africa non sono ancora possibili per via dell’emergenza sanitaria e dunque i parenti bergamaschi di Daniele Ferrari non possono recarsi in Namibia per stare vicini ai familiari direttamente colpiti dal dramma né seguire in prima persona le indagini.

«La nostra cugina Gloria, sorella di Daniele – sottolinea Matteo Sozzi, cugino di Ferrari – è comunque in costante contatto con le autorità locali. Siamo in apprensione anche qui a Bergamo, in attesa di sapere se i due autori dell’omicidio vengono arrestati. Gloria ha lavorato a lungo in passato nel corpo diplomatico dell’ambasciata italiana di Pretoria. Noi siamo sempre rimasti in contatto con i nostri cugini laggiù, che spesso tornano in valle per delle visite».

Anche i media locali della Namibia hanno dato grande risalto alla drammatica notizia, che ha acceso l’attenzione sul tema della sicurezza nella zona del parco Avis a est della capitale. Già Roberto Ferrari era molto conosciuto a Windhoek e alla sua morte il testimone della sua attività era poi stato preso proprio dal figlio, che a sua volta si era fatto apprezzare, nel corso dei decenni, per la qualità del suo lavoro imprenditoriale.

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