A 20 anni nei Paesi Bassi
per inseguire un sogno

Lei tatuatrice e lui con la passione dei fiori, Barbara Claris e Gabriele Camozzini, di Bergamo, vivono all’Aia con il piccolo Aron, 5 mesi. «I sogni bisogna saperli coltivare, ma avendo il coraggio di sperimentare». Nell’estate del 2015 Barbara e Gabriele hanno preso una macchina e hanno girato per qualche settimana l’Olanda. Città dopo città, cercando la loro nuova casa, il nuovo progetto in cui tuffarsi e da cui ripartire. Perché l’età era secondo loro quella giusta – 21 anni lei, 25 lui, a quei tempi –; perché bisogna avere coraggio di darsi una nuova opportunità quando la vita sta un po’ stretta. E perché i sogni bisogna saperli coltivare, ma avendo il coraggio di sperimentare.

Barbara Claris e Gabriele Camozzini, originari entrambi di Bergamo, se la sono inventata una nuova vita che gli poteva piacere di più e, dopo il matrimonio in Italia, da due anni si sono trasferiti all’Aia. Nella Bergamasca avevano già due vite ben strutturate: lei a Martinengo gestiva un negozio di tatuaggi, lavoro che le piace da impazzire e che ha seguito e coltivato da quando ha 16 anni. Lui a Bergamo faceva il magazziniere per un’azienda con il sogno però da sempre di un lavoro nel mondo della floricoltura: fiori ma anche piante, un hobby che voleva tramutare in lavoro.

Dall’aprile 2016 vivono all’Aia e con loro ora c’è Aron, di 5 mesi, un piccoletto tutto occhi che i giovani genitori amano all’infinito. A chiudere la famiglia anche Zoe, un Bull terrier mini di un anno e 5 mesi, regalo del papà di Gabriele poco dopo che la coppia si è trasferita nei Paesi Bassi.

«La scelta di lasciare l’Italia l’ abbiamo maturata insieme, un pezzo alla volta, e abbiamo deciso di provarci, di condividere un’avventura che ci portasse lontano dagli affetti e dagli amici ma che ci mettesse in gioco – spiegano Barbara e Gabriele –. La scelta del’Aia è legata all’amore che abbiamo per Bergamo: nel nostro viaggio per l’Olanda eravamo indecisi tra Rotterdam e questa cittadina. Ci ricordava Bergamo, a misura d’uomo, con spazi condivisi e vivibile anche a piedi. Abbiamo scelto l’Aia per questo motivo».

Qui Barbara fa ancora la tatuatrice: «Ho trovato lavoro in tempi molto brevi. Ho chiuso con dispiacere il mio negozio a Martinengo: avevo la mia clientela, i miei amici e tutto è nato tra quelle mura». La 24enne bergamasca ricorda gli inizi: a 16 anni una farfalla tatuata sul collo, poi piano piano, «i disegni che facevo sulla carta sono diventati i soggetti di tatuaggi pensati e creati dopo aver ottenuto la certificazione che mi abilitava al lavoro – racconta –. Ho sempre amato l’arte, il senso profondo e celato che un disegno comunica, le forme che mutano attraverso il tratto e si raccontano sulla pelle di una persona: messaggio indelebile, pezzi di vita, ricordi di storie».

Come appunto quella farfalla di 16enne ribelle e desiderosa di spiccare il volo: «Ora i tatuaggi non li conto più sul mio corpo – sorride –, sono parte di me e sono stati il mio biglietto da visita all’Aia». Barbara lavora tre giorni a settimana e il resto del tempo è dedicato al piccolo Aron: «Ho una clientela internazionale, un buon rapporto con i colleghi con cui condivido il negozio. Pochi giorni fa il primo cliente italiano: è stato un po’ come tornare a casa».

Gabriele lavora invece in un’azienda che esporta piante e fiori in Italia: «Ho sempre avuto una passione per la natura in generale – spiega –, fin da piccolo conoscevo e studiavo animali e piante e questa è stata una passione che ho coltivato negli anni. Prima di partire per l’Aia non pensavo né speravo di poter subito trovare lavoro in questo ambito. Credevo, al massimo, di trovare posto in qualche serra come coltivatore». Ma Gabriele è stato fortunato: «Quando ci siamo trasferiti all’Aia, ho parlato con un consulente che mi ha trovato un “lavoro su misura” e così sono riuscito ad abbinare le mie abilità commerciali alla mia passione per le piante – continua Gabriele –. Ad avvantaggiarmi anche la conoscenza, oltre che dell’italiano, dell’inglese e olandese: mia mamma è infatti originaria dei Paesi Bassi».

Gabriele è molto soddisfatto: «Nell’azienda in cui lavoro i primi tempi sono stati duri: ho dovuto imparare tutti i nomi delle piante in commercio, studiarne tutte le caratteristiche, capire e partecipare alle aste e imparare a vendere – spiega ancora Gabriele –. Dopo il primo anno di prova sono stato assunto e questo lavoro mi gratifica parecchio: era quello che cercavo, un lavoro non facile ma che mi desse delle soddisfazioni. E magari un giorno farò anche il coltivatore». E Barbara commenta: «Ha trovato risposte alle sue domande, è riuscito a voltare pagina su un lavoro che non amava e che non gli dava sbocchi né opportunità» spiega, mentre Gabriele culla Aron in una serata dalle temperature rigide: «Qui andiamo anche a -12 gradi – sospira –. Aron è nato piccolino e lo teniamo al caldo il più possibile. È un bambino felice e curioso e noi, nonostante siamo soli e senza aiuti famigliari, ci siamo ben organizzati e riusciamo a cavarcela come neo-genitori. Non siamo ancora molto abituati al freddo, ma pian pian passerà anche quello» ride.

Il pensiero va così ai prossimi giorni di primavera, con lo sguardo rivolto alla meraviglia del mare del Nord, ai canali su cui l’Aia si appoggia delicata, ai colori di un quadro di Rembrant.

«La nostra vita è semplice – racconta Barbara –: stiamo molto a casa, passeggiamo per la città, ci guardiamo attorno ancora da turisti. Abbiamo il sogno di comprare casa nel quartiere di Bezuidenhout: qui abbiamo visto un appartamento in cui vorremmo trasferirci, tutti e quattro». Aron tre giorni alla settimana va al nido, poi sta con i genitori, cresce coccolato, tra una passeggiata al parco e una boccata di ossigeno in spiaggia. «A Natale lo abbiamo portato per la prima volta a Bergamo, a conoscere i nonni e i nostri amici. Sicuramente l’Italia ci manca e ci manca la nostra terra: il cibo, il clima, le montagne». Però Barbara aggiunge: «In Olanda abbiamo scoperto una mentalità più aperta, soprattutto in riferimento al mio lavoro di tatuatrice. Qui è un mestiere artistico e considerato come tutti gli altri: non stravagante o alternativo – commenta la bergamasca –. All’Aia abbiamo anche scoperto un forte senso di comunità, all’insegna della collaborazione e della meritocrazia, per non parlare del grande rispetto dell’ambiente e del valore dei servizi sociali».

«Probabilmente la cosa che più mi ha aiutata a integrarmi è stata la mia spontaneità, quel modo così italiano di chiacchierare, gesticolare e esprimermi a livello facciale: il mio modo di essere è piaciuto e ha permesso di rompere il ghiaccio» sorride ancora Barbara. Che però non ha imparato ancora l’olandese e ad andare in bicicletta: «Lo so, sembra un paradosso, ma io in bici sono una frana e qui vanno troppo veloci. Continuerò a camminare, stupendomi ogni giorno di più della bellezza di questo mio piccolo mondo».

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