La solita partita

Alcuni non hanno saputo resistere al richiamo atavico (o forse genetico) della partigianeria e hanno trasformato la finale di Champions League a Milano – giocata, come sappiamo, tra le due squadre di Madrid, Real e Atletico – in una partita tra italiani. Riferimenti più o meno labili al passato calcistico nostrano hanno consentito ai «drogati» di faziosità di vivere la sfida - spagnola dalla testa ai piedi – come fosse, ovviamente, Juventus-Inter, ma anche Renzi contro anti-Renzi, nemici dei profughi contro amici dei profughi, compagni contro camerati, pizza quattro stagioni contro marinara.

E pensare che, personalmente, ho trovato la partita – e soprattutto l’atmosfera – di San Siro bellissima proprio perché, per una volta, ci dava l’occasione di metterci a sedere e guardare la passione degli altri. Una passione che potevamo ben comprendere, o almeno immaginare – le due anime di una città schierate a contendersi la coppa più prestigiosa! – ma la cui onda finiva per risparmiarci, evitandoci di essere travolti e perdere, di conseguenza, ogni solida prospettiva.

Più e meglio che in una finale del mondiale – in cui l’elemento nazional-patriottico inquina col folklore e il pregiudizio la purezza di una sfida esclusivamente di campanile – abbiamo visto bambini piangere, ragazze svenire, omacci rimanere impietriti davanti a un corner e, soprattutto, ci si è offerto lo spettacolo di folle agitate all’unisono dalle emozioni primarie: paura, gioia, speranza, frustrazione. Aggiungiamoci che gli spagnoli ci assomigliano alquanto ed ecco che, per miracolo, si è materializzata l’occasione di guardarci allo specchio con supremo distacco e perfetta oggettività. Un privilegio raro.

Dal quale – e concludo – discende naturalmente il desiderio di essere noi, il prossimo giro, a vivere in prima persona quelle emozioni: se ci sarà dato, grazie a Real-Atletico saremo in grado di anticipare lo spettacolo umanissimo e insieme sublime che la nostra passione darà al mondo. Sennò sarà sempre e per sempre la solita partita.

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