Famiglie in difficoltà
La crisi svuota gli asili nido

La bella notizia è che nella Bergamasca di servizi per la prima infanzia ce ne sono abbastanza, la brutta è che la crisi sta mettendo a dura prova i nidi privati, che stanno assistendo in questi mesi, specialmente nelle zone più copite dalla disoccupazione, a un calo di iscrizioni. Lo dicono gli operatori, lo confermano i genitori. Il costo dei nidi, si sa, è alto: l’età dei bambini, dai tre mesi ai tre anni, chiede personale e attenzioni che incidono sui costi.

I nidi del Comune di Bergamo, per esempio, costano cinque milioni di euro l’anno e dalle rette se ne recupera solo un milione. «Ma il servizio continuerà a migliorare - assicura Danilo Minuti, assessore all’Istruzione e ai Servizi educativi del Comune di Bergamo -. La lista d’attesa è ancora oltre le cento unità e pensiamo di ridurla con l’ampliamento degli spazi del nido di Loreto, già previsto nel Piano delle opere pubbliche (Pop), a giugno poi sarà pronto il nuovo nido di Colognola e si sta realizzando il project financing per Redona».

All’impegno edilizio diretto si aggiunge anche la possibilità, data da Regione Lombardia di «acquistare» posti nido presso strutture private. Il Comune assorbe già 20 posti liberi del nido aziendale degli Ospedali Riuniti, mentre i 32 posti riservati ai dipendenti del Comune di Bergamo sono sparsi su tutti i nidi della città. Nonostante il passaggio da 336 a 530 posti-nido la lista d’attesa è la stessa del 1999. «La domanda aumenta - afferma Ferruccio Bresicani, responsabile dei Servizi educativi -, anche se unendo offerta pubblica e privata siamo ormai vicinissimi al 33% richiesto da Lisbona».

La componente dei bimbi stranieri è del 26% nei nidi, proporzione corretta dato che su mille nati il 30% è di genitori non italiani. Negli ultimi tre anni si è modificata anche la tipologia degli utenti: i casi sociali sono il 10% dell’utenza, i bambini sotto l’anno di età rappresentano il 40% delle domande.

La nuova situazione vede un aumento delle famiglie monogenitoriali (di solito il genitore è la madre) con difficoltà economiche. Le donne, in particolare, hanno paura di perdere il lavoro e ci tornano subito, al compimento del terzo mese del bambino. La paura per il lavoro non è solo cittadina, interessa molte zone della provincia. Fuori città, la crisi economica significa il ritiro dal nido per risparmiare.

Giusi Guerini, referente dei servizi per l’infanzia per l’Ambito Val Seriana oltre che del Comune di Fiorano, sottolinea che la crisi ha portato con sé «l’imprevedibilità. Prima le mamme programmavano l’ingresso al nido del figlio e per gli operatori c’era tempo per organizzarsi. Adesso, tornano al lavoro e si sentono dire che sono in cassa integrazione; così tolgono il figlio dal nido per risparmiare. Lo stesso succede se è il padre a restare a casa, mentre la moglie torna al lavoro. Oppure, al contrario, perdono il lavoro, ma dopo un po’ ne trovano un altro e a questo punto hanno bisogno subito di un posto al nido, per non perdere l’occasione. Insomma, le richieste delle famiglie sono frammentarie e urgenti e i servizi devono fare i salti mortali».

Un altro effetto della crisi è che le mamme portano al nido bimbi molto piccoli (prima tendevano a restare a casa qualche mese in più a stipendio ridotto o usufruendo dei congedi) per lasciare «scoperto» il posto il minor tempo possibile. «Questo significa che per i gestori dei nidi i costi aumentano, perché lo standard di un’operatrice per otto bambini è troppo alto se si tratta di piccolissimi». Quindi da un lato costi maggiori, dall’altro minori introiti.

Se i nidi comunali per il momento reggono, quelli privati, soprattutto i micronidi e i nidi famiglia, rischiano di chiudere. Tea Merli, contitolare di due nidi a Trescore e Cenate ammette che la crisi si sente. «Sui due nidi abbiamo dieci bambini in meno rispetto lo scorso anno e su sei che si erano iscritti per il prossimo gennaio, ne arriveranno solo due. Le mamme, al rientro in azienda si sono trovate in cassa integrazione». Le donne con figli sono le prime ad essere espulse dal mercato del lavoro.

La loro disoccupazione produce a cascata altra disoccupazione perché le operatrici dei nidi a loro volta vedono traballare il posto di lavoro: «Noi - spiega ancora Tea Merli - abbiamo già dovuto ridurre l’orario di lavoro e anche tagliare personale». Sushma Servalli gestisce un micronido a Cazzano Sant’Andrea per cinque bambini e quest’anno, per la prima volta, ne ha solo quattro: «Qui in Val Seriana la crisi c’è. Molti posti di lavoro son persi, se prima lavoravano in due, resta un solo stipendio e chi è a casa tiene il figlio».

Stefania Testa gestisce un nido di dieci bambini a Brusaporto ed è al completo, con un paio di richieste in lista d’attesa: «Qui le aziende lavorano ancora tutte e molti genitori sono lavoratori autonomi. Il nostro nido è molto flessibile quanto a orari e le mamme possono portare il loro latte per i piccolissimi. Inoltre il Comune di Brusaporto sostiene le famiglie in difficoltà con bambini piccoli e anche questo conta. So però che in molte zone della provincia i micronidi sono in difficoltà. Sento ai corsi di aggiornamento della Provincia che a Urgnano un nido sarebbe rimasto con solo un bambino, a Dalmine con due».
 Susanna Pesenti

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