Giro del mondo senza volare
Domenica il racconto su Rai3

Ci sono voluti 467 giorni per realizzare un sogno: il giro del mondo «via terra», senza mai utilizzare aerei. Il perché lo aveva spiegato a settembre del 2008 pochi giorni prima della partenza: «Un volo intercontinentale produce qualche milione di tonnellate di anidride carbonica a passeggero per consentire di arrivare comodi e veloci», ma soprattutto «viaggiare con i piedi sempre attaccati alla terra riduce la velocità del paesaggio a misura d'uomo e consente di assorbire per osmosi volti, cibi, lingue, odori, musiche, strette di mano, stazioni radio, rumori e polvere».

Eddy Cattaneo, ingegnere di Ciserano, dove vive la sua famiglia, ligure di adozione (abita infatti a Recco), 40 anni compiuti in viaggio, è tornato in Italia e ha mille cose da raccontare. Lo farà anche domenica nel programma condotto da Licia Colò «Alle falde del Kilimangiaro», trasmesso da Rai 3.

«Sono partito da solo dall'Italia e mi sono diretto verso Est. Ho attraversato Europa, Asia, Sud America e Africa in un viaggio circolare che mi ha riportato a poter trascorrere il Natale del 2009 con i miei». Qualche statistica finale: 108.206 chilometri percorsi, 38 Paesi visitati, 15 chili persi, 450 litri di liquidi bevuti in 16 mesi.

Un resoconto aggiornato da ogni parte del mondo più o meno facilmente: «Ho mantenuto un legame con amici e familiari e chi semplicemente era interessato al mio viaggio attraverso il mio blog “Mondoviaterra”, in cui raccontavo ciò che mi accadeva, ciò che vivevo e in cui scaricavo le fotografie».

Le fotografie, più di 20.000 quelle scattate, mostrano soprattutto i volti delle persone incontrate, i luoghi visitati quasi mai solo come turista, ma come chi «vive» realmente il paese in cui si trova, senza la fretta di raggiungere un'altra meta. La lentezza, appunto che permette di guardare ad altezza d'uomo.

Diventa quasi stupida la domanda sui pericoli di un viaggio così lungo, con uno stile poco turistico, mossa dall'idea che ciò che è diverso può essere rischioso. «Non ho mai avuto la sensazione di trovarmi in situazioni difficili, anche quando mi sono affidato a persone che conoscevo poco e che mi ospitavano nelle loro case. Certamente ho evitato i quartieri malfamati delle grandi città, non avevo nessuna intenzione di rischiare. Sono stato certo fortunato, molto fortunato».

Eddy racconta però del terribile incidente in cui è stato coinvolto l'autobus su cui viaggiava a dicembre in Mali: «È accaduto proprio il giorno in cui ho deciso che sarei tornato a casa; mentre il pullman ruotava su se stesso ho pensato che era finita, ma incredibilmente ne sono uscito illeso». Poi si ammala di malaria, forma leggera da cui guarisce velocemente, ma è proprio ora di tornare a casa.

Come fa una persona che ha attraversato il mondo a fermarsi e riprendere una vita «normale»? «Nei primi tempi non riuscivo a stare fermo. Sono tornato a Recco il 12 gennaio, ma ho continuato a viaggiare: Germania, Olanda, in giro a trovare gli amici. Solo ora riesco a ripensare al lavoro, riprendo lunedì nella stessa azienda genovese che si occupa di sistemi informatici legati alle mappature geografiche, da cui mi ero licenziato prima di partire». Ma ci sono anche altri progetti: «Sto rivedendo quanto scritto sul mio blog, per farlo diventare un diario di viaggio, mi piacerebbe trovare un editore per pubblicarlo».

L'appello è stato lanciato. E chi non ha letto ancora i suoi resoconti, lo faccia: oltre che interessanti, sono piacevoli, scritti con uno stile molto personale, leggero e ironico. L'emozione più forte del viaggio? «Le traversate dell'Oceano in cargo. Giorni e giorni in mezzo al mare, potevo stare ore a contemplarlo senza annoiarmi. E poi lo stretto di Panama: pochi sanno che le chiuse servono a superare il dislivello dei Laghi Gatún e Miraflores, anche in questo caso un passaggio lentissimo».

Eddy potrebbe parlare per ore, a tratti anche noi ravvisiamo quella luce negli occhi che amici e parenti hanno notato dopo il rientro: «Certamente sono cambiato molto, mi sento più vivo, sono orgoglioso di aver portato a termine un sogno che avevo da molto tempo».
 Laura Arnoldi

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