L'addio a Impellizzeri
Gentleman e giornalista vero

Il giornalista Paolo Impellizzeri, già vicecaporedattore de «L'Eco di Bergamo», è morto lunedì 17 maggio per le complicanze di una grave forma di diabete che lo aveva reso invalido. Aveva 66 anni. Con Ciccio, come lo chiamavano affettuosamente tutti, se ne va un caro collega ed amico che per una quarantina d'anni ha raccontato il mondo e la Bergamo culturale.

«Il gentiluomo del Sentierone»: l'immagine è di Carlo Saffioti, in Comune negli anni nei quali il giornalista fu addetto stampa del sindaco Giorgio Zaccarelli (che oggi dice:«Collaborando diventammo amici»), ma è anche il ricordo più diffuso tra le persone che l'hanno conosciuto. Perché Paolo Impellizzeri, del Sentierone aveva fatto il suo ufficio all'aperto. Figlio di un alto funzionario statale, ha vissuto sempre da celibe nell'appartamento di famiglia sopra il Balzer.

Le sue Redazioni erano tutte raggiungibili a piedi, come l'amato Teatro Donizetti e i caffé che fungevano da quartier generale. «Paolo era di una pigrizia cosmica, siciliana - ricorda l'avvocato Carlo Salvioni, amico fin dai tempi del ginnasio - e di un'intelligenza sottile, altrettanto siciliana. Inoltre era coltissimo. Avrebbe potuto farsi onore anche nei quotidiani nazionali, se non fosse stato Sentieronecentrico».

Leggendaria era la sua renitenza allo sport praticato: «Giocavamo in una squadra di calcio - ricorda il sindaco di Bergamo, Franco Tentorio - io, i due fratelli Salvioni, fra gli altri, che si chiamava Aniketon, l'Invincibile. Avevamo un solo tifoso che ci seguiva anche in trasferta: Paolo Impellizzeri. Ma non toccava la palla. Mi spiace tanto: perdo un amico, e la città perde il testimone di una stagione».

Lo sportivissimo collega Ildo Serantoni, che veniva preso a scudisciate verbali per la sua passione ciclistica, ricorda che «Paolo dal Sentierone arrivava in taxi alla Redazione di "Bergamo oggi" in via Palazzolo». «Come giornalista - sottolinea Paolo Arzano che lo ebbe collega negli anni del "Giornale di Bergamo" - era preciso, onesto nei giudizi, polemico quando necessario. Capace di usare l'ironia. Ed era anche generoso, umanamente attento alle situazioni di bisogno».

Ma pronto a infiammarsi nelle discussioni e a tenere il punto. Soprattutto in politica (non mancò mai un 25 Aprile in piazza), una delle tanti passioni di un intellettuale laico e di formazione liberal. Paolo Impellizzeri, arrivato a Bergamo da ragazzo insieme alla famiglia nel 1956, avanti un anno, si era iscritto alla IV ginnasio al Sarpi. Il padre, raccontava, sognava per lui la carriera diplomatica, ma a 18 anni la prima recensione pubblicata decretò la fine degli studi universitari e di ogni altra carriera che non fosse inchiostro e piombo.

Il giornalismo conteneva fra l'altro la possibilità, anzi il dovere, di scambiare il giorno con la notte: un'attrattiva irresistibile per un uomo che amava la socialità delle ore piccole. Impellizzeri cominciò a collaborare al «Giornale del Popolo», che divenne nel 1962 «Giornale di Bergamo». Professionista nel 1967 (il primo bergamasco a superare l'esame di Stato introdotto per i giornalisti), fu poi a «Bergamo Oggi» e al «Giornale di Bergamo Nuovo». Tra i suoi amici e colleghi ci fu anche un giovanissimo Giorgio Gori che oggi ricorda «Paolo impellizzeri con affetto, inimitabile spirito libero».

Con Giancarlo ZIlio, vicedirettore de «L'Eco di Bergamo» negli Anni Novanta, si incontrava a Schilpario in vacanza: «Era un gran parlare di comuni ricordi, di vita e di professione. Ricordo il giornalista attento ai risvolti umani sotto la cronaca, che restano nascosti, se non c'è un animo che sappia coglierli. E quest'animo Paolo l'aveva veramente». Al nostro giornale - chiamato da monsignor Spada, di cui era buon amico - era stato in Provincia, agli Interni-Esteri e alla Redazione Cultura e Spettacoli.

Amanzio Possenti, che allora era il capo della Provincia, ricorda così, con affetto, il suo vice: «Di Paolo ricordo l'alta professionalità, la capacità di scrittura e la sensibilità sulla vita di Bergamo». Proverbiali il suo impegno e la sua professionalità durante la Guerra del Golfo, periodo in cui insegnò il mestiere a giornalisti oggi affermatisi al «Corriere della Sera» (Francesco Battistini e Pierenrico Ratto) e al «Sole 24 Ore» (Jean Marie Del Bo). Erano gli anni in cui il giornale chiudeva verso le 4 del mattino e poi tutti dal Galli («Chel del formai»), che aveva sempre un piatto pronto per i giornalisti (e i politici) nottambuli.

Ad esprimere partecipazione e cordoglio alla sorella Antonietta e ai nipoti, non ci sono solo il direttore Ettore Ongis e i colleghi de «L'Eco di Bergamo» e della comunità dei giornalisti bergamaschi, ma anche, con messaggi giunti in Redazione, molti bergamaschi rappresentanti dei mondi della politica, delle istituzioni e delle professioni, tra i quali il deputato Giorgio Jannone, Roberto Bruni, e lo staff dell'Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea.
 Susanna Pesenti

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