Addio a Barbero, architetto della luce
e del rinnovamento a Bergamo

È morto venerdì sera 3 settembre Walter Barbero, uno degli architetti che più hanno contribuito - soprattutto nel periodo della collaborazione «a otto mani» con Giuseppe Gambirasio, Baran Ciagà e Giorgio Zenoni - al rinnovamento architettonico della Bergamo degli ultimi decenni.

Ma chi l'ha conosciuto non fonda sull'aspetto professionale il suo cordoglio: la qualità dei suoi lavori poggiava su una ricca umanità, il tratto discreto, ma fermo, la pacata ma raffinata capacità di pensiero, l'attenzione alla concretezza dei rapporti e dei bisogni delle persone, la curiosità che ispirava una rara apertura culturale.

Barbero, che da un paio d'anni conviveva con molta dignità con il tumore che l'avrebbe ucciso, era nato a Roma 69 anni fa. Si era trasferito a Bergamo più di mezzo secolo fa. Aveva iniziato a lavorare con Zenoni prima ancora di laurearsi, nel 1969, al Politecnico di Milano, dove sarebbe tornato a insegnare Progettazione architettonica pochi anni più tardi: suoi maestri furono Ernesto Nathan Rogers e Franco Albini.

Per una quindicina d'anni, a partire dai primi anni '70, formò con Gambirasio, Ciagà e Zenoni un gruppo di lavoro raro, per affiatamento e originalità di metodo. Testimonia Paolo Belloni, presidente dell'Ordine degli Architetti di Bergamo: «I progetti che hanno lasciato il segno più forte, nella Bergamo di quel periodo, sono proprio quelli in cui hanno lavorato insieme, senza che si riesca a distinguere l'apporto dell'uno dall'altro. Penso al Duse, alle Terrazze Fiorite, alla Chiesa dei frati di Valtesse».

Lo confermano anche gli interessati: «Tra di noi - ci racconta Gambirasio - c'era un'intesa fortissima, il fondamento era una comune idea di architettura, intesa come rapporto tra chi abita nella città e nelle case: una prospettiva non formalistica ma di contenuto, concepita come servizio alla gente».

Si trattava di non limitarsi a progettare edifici, ma costruire uno spazio di vita che rispecchiasse i valori in cui credeva: «Lavoravamo allo stesso tavolo di disegno, senza pensare a chi di noi due appartenesse l'idea che stavamo sviluppando», conferma Zenoni. E continua: «Sento di aver perso un fratello, non un collega o un socio di lavoro. Con Walter ci completavamo a vicenda, così affiatati benché diversi. Discutevamo su un progetto su ogni dettaglio, puntigliosamente ma sempre con una visione comune».

Insieme, Zenoni e Barbero si erano occupati anche dell'allestimento di mostre, come quella dedicata a Caravaggio o quella della Collezione Rau. Barbero era del resto anche un ottimo fotografo, più volte ammirato in mostra. È un esempio dell'ampiezza degli interessi di Barbero. Come lo è la collaborazione a «Notti di luce», il festival promosso dalla Camera di commercio per il quale, nelle ultime cinque edizioni, aveva curato il progetto di illuminazione architetturale urbana.

«Walter - confida Claudio Angeleri, direttore artistico della manifestazione - teorizzava e metteva in pratica una concezione della luce come elemento che svela la sostanza e il carattere organico di una città. Non mi vergogno di dire che inizialmente ero rimasto perplesso, ma che aveva ragione lui: ancora una volta, aveva visto giusto e lontano». Questo è il punto cruciale.

«Barbero sapeva guardare lontano, sorretto dalla sua profonda cultura», dice ancora Belloni. Angeleri rincara: «La sua apertura multidisciplinare mi ha sempre ispirato, cambiando il mio modo di vedere le cose. Per me fu più di un insegnante, per me, ma un secondo padre».

Interviene Stefano Levi della Torre, architetto, pittore, docente, con il quale Barbero stava preparando una mostra sull'architettura e i movimenti della fine degli anni '60, in rapporto ad oggi: «Era dotato di quella finezza che coglie le minime sfumature, e sa articolare un pensiero su sequenze e connessioni di ampio respiro. Aveva un approccio antropologico all'architettura. E un genuino interesse per le persone e i rapporti umani».

Tutto questo si ritrova in due dimensioni cruciali della sua esistenza, l'insegnamento e l'Africa. Barbero si occupava di progettazione per lo sviluppo, nei paesi del Maghreb e in Mauritania, Mali e Niger, in Libano e in Siria, in Brasile e in Repubblica Dominicana.

Molti di questi interventi avvennero con la Ong Africa '70, a lungo presieduta dall'architetto Tito Sciattella: «Era uno dei massimi esperti mondiali sugli insediamenti urbani e i centri storici dei paesi in via sviluppo, con particolare riferimento all'Africa francofona. Mi colpiva la sua pazienza. La sua capacità di valorizzare le risorse locali, a partire dalle persone. La sua curiosità per l'ambiente e le culture. Il suo genuino interesse per l'Africa: stava scrivendo un magnifico atlante antropologico sul Parco W, tra Niger, Benin e Burkina Faso».

Tutto questo lascia una profonda traccia, che va al di là del mestiere, delle realizzazioni pratiche, dei riconoscimenti personali. È una traccia umana, che si coglie nelle parole degli amici, che ancora di più gli si strinsero intorno negli ultimi mesi, della sua compagna, Maura Cantamessa, e dell'ex moglie Ines Crotti. I funerali saranno in forma civile lunedì, alle 11, al cimitero di Bergamo.
 Pier Giorgio Nosari

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