Lavoro, cala quantità e qualità
I dati Ipsos nella Bergamasca

Nel complesso oltre alla quantità di lavoro disponibile è peggiorata la qualità del lavoro offerto sul mercato provinciale. Questi i dati di partenza del convegno organizzato dalla Diocesi venerdì 10 e sabato 11 giugno sul lavoro che cambia e ci cambia.

Il lavoro è da sempre parte dell'identità bergamasca, anche per questo «l'abbassamento di un tenore di vita conquistato in poche generazioni, potrebbe portare a un senso di sconfitta con riflessi sulla tenuta individuale, ma anche familiare e sociale», secondo le parole del presidente dell'Ipsos Nando Pagnoncelli. L'analisi dei dati Istat 2004-2010 realizzata dall'Ipsos fornisce la base statistica al convegno organizzato dalla Diocesi venerdì 10 e sabato 11 giugno sul lavoro che cambia e ci cambia.

Tra gli aspetti più critici la diminuzione dei redditi dovuta alla cassa integrazione di molti capifamiglia e a volte di entrambi i genitori-lavoratori; il perdurare del carico economico sui genitori perché i figli in età da lavoro al massimo provvedono a sé parzialmente con occupazioni instabili, la tendenza ad abbassare il salario d'ingresso dei giovani (i diplomati vengono assunti come operai specializzati, i qualificati come operai generici, i laureati come stagisti).

Nel numero delle imprese che nascono vanno conteggiate anche le partite Iva forzose, collegate all'affidamento di progetti al posto di contratti di assunzione. Nel complesso oltre alla quantità di lavoro disponibile è peggiorata la qualità del lavoro offerto sul mercato provinciale.

Gli occupati Il numero di occupati nel 2004 era di 444.870 unità mentre nel 2010 ci si attesta a 468.224. L'andamento complessivo mostra un trend a terrazze, con un picco nel 2006 e un altro nel 2008 seguito da fasi di assestamento. La crescita è stata del 5,3%, con circa 100.000 unità di vantaggio a favore dei maschi rispetto alle femmine. Il tasso maschile di occupazione è tre volte la media lombarda e 6 quella nazionale.

Lavora il 28,4% dei giovani fino a 24 anni, l'81% dei trentenni, quasi l'84% dei quarantenni, quasi l'80% dei cinquantenni e il 36,6% dei sessantenni. Nel 2004 i 15-24enni al lavoro erano il 46,8%: è qui il primo vero punto critico della situazione bergamasca: significa che sono a spasso i neodiplomati e i qualificati. La disoccupazione giovanile, che è attualmente la piaga del nostro paese (27,8%, ma con il 29,4% per le ragazze e il 26,8% per i ragazzi) per Bergamo si abbassa all'11,6% per i maschi e al 12,2% per le femmine. Il tasso di disoccupazione complessiva è del 3.7 con un 3.4 riferito alla popolazione maschile e un 4.2 a quella femminile.

Più preoccupante è il tasso di inattività, cioè il rapporto fra popolazione non attiva e popolazione in età lavorativa, che è del 33,7%, superiore alla media lombarda del 31%. La differenza è tutta a carico delle donne: il tasso di inattività delle bergamasche è del 46,1 contro il 40,3 della Lombardia. 

Per quanto riguarda i contratti, crescono quelli a tempo determinato e diminuiscono quelli a tempo indeterminato. Quanto al lavoro indipendente, l'anno nero è stato il 2009, molte imprese hanno cessato di esistere. Ma già nel 2010 la situazione è migliorata.

Gli immigrati stimati sono 138.000, dei quali 114.000 residenti e regolari. Gli uomini lavorano come operai (25,2%) o edili (20,4%), le donne nei servizi. Gli occupati regolari che erano quasi il 42% nel 2008, sono piombati al 25,4% nel 2009, risalendo al 30,6% nel 2010. I disoccupati sono saliti dal 4,4% al 19,6%. Sono loro le prime vittime della crisi.

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