Città fantasma per disperati
nell'ex deposito di mangimi

È un confine labile questa inferriata. Quasi un velo di metallo che superi con un balzo e dietro al quale si cela ciò che nessuno vorrebbe mai vedere. Una città nella città che è un pugno nello stomaco, uno scenario di degrado materiale e umano.

È un confine labile questa inferriata. Quasi un velo di metallo che superi con un balzo e dietro al quale si cela ciò che nessuno vorrebbe mai vedere. Una città nella città che è un pugno nello stomaco, uno scenario di degrado materiale e umano popolato da ombre che si materializzano di notte e svaniscono – ma non sempre – col giorno. Perché nascondersi serve a poco quando da perdere non hai nulla e ciò che ti resta per stare a galla è questo scheletro di cemento alla deriva. Sbandati? Sì sbandati, tossicodipendenti, rom.

Il mondo dell'ex Mangimi Emmetre (poi diventato Moretti) è questo. Niente di più e niente di meno. Una Daste e Spalenga trapiantata qui, tra i quartieri di Campagnola e della Malpensata, con tutto il suo codazzo di problemi e disagi. Fuori, spaccio, accattonaggio e insicurezza. Dentro, bivacchi, degrado e miseria.

Semplice da raccontare. Più difficile da vivere. La conferma a pochi passi dal varco affacciato sulla tangenziale in cui ci infiliamo. «Buttano giù tutto», mentiamo di fronte ai primi ospiti di questo grand hotel della disperazione. «Quando?», chiede una ragazza giovane sgranando gli occhi e tradendo tutto lo smarrimento per quella che evidentemente non è una buona notizia.

Neanche il tempo di rispondere ed ecco il resto della famiglia: altre due donne - una incinta - e due uomini. Romeni? «Sì romeni». Non sono gli unici. Al loro accampamento - tre tendoni sotto la tettoia esterna - se ne affianca un altro più spartano all'interno del grande capannone verso via per Orio: due tende da campeggio più qualche materasso dove incontriamo altre dieci persone. «Romania?». Sì, Romania pure loro. «Bambini?». No, niente bambini. Attorno alle tende pupazzi e giocattoli però non mancano e il primo pensiero che ti viene in mente guardandoli è che i loro proprietari non ci siano perché impegnati altrove. In una parola: accattonaggio.

Un universo dove la droga non manca e dove il degrado è ancora più pesante. I bivacchi ai piani superiori della vecchia palazzina uffici ne sono la dimostrazione e affrontarli, anche solo per pochi minuti, non è un'esperienza piacevole: cumuli di rifiuti, escrementi, siringhe abbandonate, materassi, vetri infranti e l'aria letteralmente irrespirabile.

«Le cose da fare sono due - replica il sindaco Franco Tentorio -, innanzitutto ottenere l'abbattimento dell'immobile anche se esiste qualche complicazione legata al fatto che lo stesso edificio è di proprietà di una società in liquidazione e soggetta a concordato preventivo. Ora le cose sembrano avviate positivamente. Nel frattempo abbiamo provveduto, d'intesa con le forze dell'ordine, a diversi sgomberi e altri sono già stati programmati». Il «grand hotel» della disperazione ha i giorni contati.

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