Il ricordo: addio al «soldato Ryan»
Salvò il fratello detenuto in un lager

Avrebbe voluto sfilare anche oggi Ulrico Bonadei. Come nel maggio dello scorso anno, quando a novant'anni suonati era uscito di casa alle 8 del mattino ed era tornato (da solo) alle 10 di sera. Come le tante altre adunate alle quali aveva partecipato nella sua lunga vita.

Avrebbe voluto sfilare anche oggi Ulrico Bonadei. Come nel maggio dello scorso anno, quando a novant'anni suonati era uscito di casa alle 8 del mattino ed era tornato (da solo) alle 10 di sera. Come le tante altre adunate alle quali aveva partecipato nella sua lunga vita: cappello con la penna bianca in testa, le medaglie sul petto e via a incontrare vecchi e nuovi amici.

Non ce l'ha fatta purtroppo. Dopo la perdita della moglie Angiolina e una malattia che l'ha costretto alcuni mesi in ospedale s'è spento venerdì sera ai Riuniti. E chissà forse l'anziano alpino, novantunenne originario di Castro, ma residente da moltissimi anni in Borgo Santa Caterina, se n'è voluto andare apposta alla vigilia dell'adunata sezionale, quasi un commiato, un silenzioso saluto rivolto alle sue penne nere.

Amava raccontare il tenente colonnello Ulrico Bonadei. Partiva da lontano, girava e girava con la sua bella parlantina e poi finiva sempre lì, a quei giorni difficili, ma intesi, che aveva trascorso assieme ai compagni nei 5 anni di naia durante la seconda guerra mondiale: prima a Spoleto, poi il fronte francese, quindi la prigionia e infine il ritorno a casa.

Una storia come tante, ma con un episodio che sembrava la sceneggiatura di un film. Un nostrano «Salvate il soldato Ryan» che non gli era valso l'oscar, ma alcuni riconoscimenti sì, compresa una medaglia d'onore assegnatagli lo scorso luglio dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. I

n pratica Ulrico Bonadei dopo la cattura a Grenoble l'8 settembre del ‘43 e un lungo periodo trascorso in alcuni campi di prigionia della Germania e dell'attuale Polonia, era riuscito incredibilmente a «liberare» il fratello Attilio, anch'egli alpino, recluso in un altro campo tedesco distante centinaia di chilometri dal suo, grazie alla buona conoscenza del tedesco e alla capacità di non perdersi mai d'animo.

Una vicenda rocambolesca fatta di tanti episodi, lasciapassare miracolosamente rilasciati, viaggi tra un campo e l'altro, che, nel racconto della vecchia penna nera, si concludeva sempre con l'incontro tra lui e il fratello incredulo. Poi si parlava anche della grande festa, quella con cui nel settembre del '45 i due erano stati accolti al rientro a Castro: «C'era mezzo paese», ricordava Ulrico.

Un po' come oggi, quando il suo cappello sfilerà assieme al gruppo di Santa Caterina. Prima dell'ultimo saluto (il funerale si svolgerà domani alle 9 in Santa Caterina), l'omaggio delle «sue» penne nere.

E. Fa.

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