Di Pietro e i casi di corruzione:
«Come prima. Anzi, peggio»

«Siamo come prima. Anzi, pure peggio di prima». A quasi 20 anni dall'anniversario di Tangentopoli, Antonio di Pietro analizza cosa sta accadendo. E sentenzia: «Ora c'è un'aggravante in più».

«Siamo come prima. Anzi, pure peggio di prima». A quasi 20 anni dall'anniversario di Tangentopoli, il pensiero del Tonino nazionale si può sintetizzare con questa frase. E per giunta «con un'aggravante» sentenzia l'ex pm più famoso d'Italia: Antonio Di Pietro, ora leader dell'Italia dei valori. Uno che si è fatto da sé. Partito compreso.
Quale aggravante?
«Vent'anni fa c'era un sentimento popolare di repulsione ma anche speranza, oltre ad adeguati strumenti giudiziari ed investigativi. In questi anni è stata invece smantellata con una serie di leggi ad hoc la struttura investigativa, per non parlare della criminalizzazione della magistratura. Nella gente è poi subentrato un senso di sfiducia nei confronti della giustizia».
Rischia di passare un sentimento del tipo «così fan tutti»?
«E questa è la cosa più grave, perché non è solo un sentimento: succede proprio così. Prima i cittadini guardavano alle cose con speranza, e lo testimonia l'esperienza di Mani pulite: ora, invece, non cambia nulla. E lo testimonia il fatto che qualche protagonista di quei tempi sia ancora alla ribalta. Sono tutte cose che non danno molta speranza all'opinione pubblica».
E poi c'è questo filone delle opere pubbliche che è sempre stato terreno fertile per le tangenti.
«Anche per le tangenti. Anche... Il problema di fondo è che alla fine paga il cittadino. Si procede a scalare: il pubblico ufficiale chiede al politico, il politico chiede all'imprenditore e l'imprenditore scarica tutto sul prezzo finale dell'opera, che ovviamente lievita. E alla fine paga sempre Pantalone».
La Lombardia in questo momento è tornata al centro dell'attenzione del malaffare: un'area decisamente appetibile, considerato il numero di grandi opere previste e l'Expo 2015.
«Appetibile lo è sempre stata».
Sempre?
«È normale quando si è eccellenza. Lo si diventa nel crimine e nella lotta al crimine. In Lombardia sono nate sia Tangentopoli che Mani pulite, ora il ciclo si ripete».
O sono semplici episodi?
«Purtroppo no. Ormai il malaffare è penetrato in strutture impensabili. Cioè, chi avrebbe mai pensato che in una struttura come il San Raffaele, si potesse mandare qualcuno a minacciare il vicino per farlo sloggiare? Obiettivamente c'è da aver paura. E potrei continuare».
Continui pure...
«Vabbè, penso a Sesto San Giovanni e ad una struttura di tangenti che fa capo a quella sinistra che doveva essere di legalità e di ordine e che invece finisce per essere invischiata in modo così pervasivo. Ma potrei dire le stesse cose per il centrodestra, tranquillamente. La verità è che esiste una struttura di potere che in questi anni si è autoalimentata attraverso un'autentica ingegnerizzazione del sistema. Anche qui in Lombardia».
Questa me la deve spiegare.
«Come no. Qui non siamo più alla squallida mazzetta e basta. Oggi chi sta nelle istituzioni si fa la legge giusta, la delibera su misura, le nomine ad hoc, il consulente di fiducia, l'architetto giusto...».
Il sistema, quindi.
«E soprattutto prima c'era il corpo del reato: lo trovavi nella scatola dello sciacquone, nel puff di lady Poggiolini. Ora invece è un sistema ingegnerizzato».
Tra le altre cose, come ministro dei Lavori pubblici, lei diede un certo impulso a Brebemi.
«Abbiamo fatto tanto per fare qualcosa d'importante sul territorio, e la prima cosa che ci hanno fatto è piazzarci questa zavorra dei materiali pericolosi nel cantiere. La verità è che questa è la nuova mafia».
Senza coppola...
«Né lupara, ora è roba da colletti bianchi. Pensi ai recenti processi di 'Ndrangheta: questi prima venivano su a sequestrare i Casella, ora fanno affari. Il business sono i cantieri: vanno qui. Se non in Borsa».
Ma con questo periodo di vacche magre alle porte e maggior rigore le cose potrebbero cambiare?
«Non cambierà niente, a meno che il governo Monti non voglia davvero fare qualcosa». Del tipo? «Servono messaggi forti. Il ripristino del reato di falso in bilancio, la previsione del reato basato sulla funzione e non sull'illegittimità dell'atto e poi la confisca dei beni a quei pubblici ufficiali che non sanno dimostrarne la legittima provenienza».
Ma lei, a quasi 20 anni dall'arresto di Mario Chiesa, si sarebbe immaginato una situazione del genere?
«Francamente nel 1992 vedevo una primavera che stava nascendo. Mi amareggia una cosa: in tutti questi anni si è cercato di fermare in ogni modo il medico che curava la malattia, invece che curare la malattia stessa. Il risultato è che ora il paziente Italia è in metastasi».

Dino Nikpalj

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