Allarme Caritas: numeri choc
Bergamo: 9 mila famiglie povere

È un quadro di una Bergamo a due velocità quello che esce dal report annuale delle attività dei centri di primo ascolto della Caritas diocesana bergamasca. Sessantaquattro realtà su tutto il territorio che accolgono le persone in difficoltà della nostra provincia.

È un quadro di una Bergamo a due velocità quello che esce dal report annuale delle attività dei centri di primo ascolto della Caritas diocesana bergamasca. Sessantaquattro realtà su tutto il territorio che accolgono le persone in difficoltà della nostra provincia.

Gli oltre 800 volontari che vi operano lasciano a casa le notizie da prima pagina degli sprechi delle amministrazioni (non tutte) e della politica, delle cifre da capogiro spese per vacanze lussuose con i soldi pubblici e si calano nelle loro comunità.

È lì, nei paesi dove comprano il pane, fanno la spesa, mandano i figli a scuola, che scoprono che molta gente come loro si trova a vivere sulla propria pelle situazioni difficili, che sfiorano la vera e propria indigenza. Non più e non solo persone che hanno magari alle spalle vissuti di droga, di alcol o ex detenuti, ma soprattutto padri di famiglia che in questi cinque anni hanno dovuto affrontare un progressivo impoverimento per la perdita del lavoro.

Il report, che verrà presentato martedì alle 18,30 alla Casa del Giovane, parla addirittura di 8.770 persone bisognose (ma il dato è sottostimato) e che si trovano in una soglia di povertà relativa e ormai tendente all'assoluta. Un termine che l'Istat utilizza per identificare quelle famiglie composte da due persone che vivono con circa mille euro al mese.

«Purtroppo in questi ultimi anni - spiega Marco Zucchelli, responsabile dell'Ufficio studi della Caritas bergamasca - abbiamo dovuto ridefinire il concetto di povertà. Le persone in stato di bisogno che si presentano agli sportelli non fanno più parte solo della marginalità grave o del fenomeno dell'immigrazione, ma sono sempre più spesso italiani e bergamaschi che in alcuni casi, per la perdita del lavoro, non mandano più i figli a scuola oppure non si curano. Rinunciano cioè a dei diritti fondamentali per l'uomo: l'istruzione e la salute».

Leggi le tre pagine dedicate all'argomento su L'Eco di domenica 14 ottobre

© RIPRODUZIONE RISERVATA