Bruni: bene Bersani, è uno che unisce
«Io in corsa per il Senato? Decida il Pd»

L'ex sindaco Roberto Bruni dice che scegliere la «forza tranquilla» di Bersani fa bene al Pd e al Paese, ma serve anche ad arginare la cattiva miscela di questi tempi: l'antipolitica, la caduta di legalità, la voglia manettara a tutti i costi.

di Franco Cattaneo
L'ex sindaco Roberto Bruni dice che scegliere la «forza tranquilla» di Bersani fa bene al Pd e al Paese, ma serve anche ad arginare la cattiva miscela di questi tempi: l'antipolitica, la caduta di legalità, la voglia manettara a tutti i costi.

Avvocato, lei è impegnato per Bersani ma non pochi illustri componenti la sua Lista stanno con Renzi.
«Non vedo il problema. La Lista Bruni, nata nel 2004, era ed è un luogo civico, l'incontro di diverse sensibilità: riassume un ampio spettro. Semmai il punto è un altro: dovrà senz'altro continuare la sua esperienza, ma continuare stabilendo il come e la forma. Non è questione di Bersani o di Renzi per la Lista, che in quanto tale è neutrale. Se invece il senso della sua domanda è la partecipazione di alcuni nomi noti della Lista alla cena alla Marianna organizzata da Giorgio Gori, le rispondo che non ho davvero alcuna remora e, men che meno, risentimento. Aggiungo serenamente: che quella cena di ottimati fosse il miglior modo per propagandare le idee di Renzi, è una questione che riguarda chi vi ha partecipato, non il sottoscritto».

L'impressione è che i renziani nella Bergamasca siano particolarmente attivi.
«Sono partiti molto presto, forse troppo, e questa scelta dei tempi credo abbia in parte bruciato la novità del linguaggio del sindaco di Firenze. Qui da noi il Comitato per Bersani è stato comunque uno dei primi in Italia e mi auguro che il segretario faccia tappa a Bergamo. Quello dei bersaniani è un lavoro forse meno appariscente, ma capillare: comunicazione spicciola, porta a porta».

Ma perché Bersani?
«Stiamo parlando di primarie per scegliere il candidato premier e, con tutto il rispetto, Renzi non lo vedo proprio a palazzo Chigi. Detto questo, le primarie stanno facendo bene al Pd, al centrosinistra e al Paese. Il Pd - lo dico ancora da non iscritto, ma da chi ci sta mettendo la faccia - è una comunità che fa politica in un momento di successo dell'antipolitica: ecco un patrimonio da salvaguardare. Bersani è un uomo che unisce, mentre una vittoria di Renzi renderebbe tutto più difficile, tanto più che quella del sindaco di Firenze mi sembra un'Opa sul partito, che voglia cioè correre una gara con un obiettivo diverso da quel che è in discussione. Non intendo affatto demonizzare Renzi: anzi, non ci fosse stato, lo si sarebbe dovuto inventare, perché ha consentito di fare primarie vere, allargando il bacino di consenso del Pd e richiamando nuove energie anche nei confronti della politica che è maltrattata. Non condivido però questo suo procedere per fasi di rottura, e l'idea che ogni vent'anni si debba spaccare tutto e ripartire daccapo, magari ricorrendo all'ennesimo uomo della Provvidenza. Viceversa quello di Bersani è un riformismo di taglio europeo, proprio della socialdemocrazia: un rinnovamento non spettacolare, ma continuo, un lavoro quotidiano. Vedremo. Dalle primarie uscirà un partito diverso e l'importante è non perdere la tensione civile di questo periodo. Occorre che il Pd non si chiuda nella camicia di forza bersaniani-renziani: non deve essere questa la sola chiave di lettura».

Giorgio Gori, a Treviglio, ha auspicato la collaborazione con l'ala bersaniana sia in Lombardia sia nelle future scelte a Bergamo.
«Sì, e l'ho apprezzato: è il metodo giusto».

A proposito di Palafrizzoni, stanno per partire le grandi manovre per la corsa a sindaco. Lei, per esempio, ha sempre apprezzato il suo assessore Elena Carnevali, ma ci sembra che stia pensando di candidarsi in Regione.
«Parlare oggi di comunali è decisamente prematuro, perché dalle regionali e dalle politiche dell'anno prossimo uscirà un quadro politico che allo stato nessuno è in grado di prefigurare. Per il centrosinistra si apre, in tutta evidenza, una grande opportunità: il rapporto Pdl-Lega è incrinato, entrambi sono in cattiva salute, Tentorio ha già fatto capire di non essere intenzionato a ricandidarsi e del resto questa amministrazione ha fatto davvero ben poco. Bisognerà riflettere. I candidati possibili possono essere parecchi sia nella politica-politica sia nella società civile. Il discorso vi incuriosisce, ma è decisamente prematuro».

Via avvocato, qualche nome: il tam tam, non si sa con quale attendibilità, parla ancora di Gori.
«Francamente non saprei. Lei ha citato la Carnevali, persona con cui collaboro da anni e che apprezzo molto per le sue capacità, e Gori che certo ha le carte in regola, anche se colgo l'occasione per precisare che, contrariamente a quello che talora si è detto o scritto, non faccio parte della sua tifoseria. Il centrosinistra può disporre di persone adatte, ma a mio giudizio devono avere una caratteristica: devono saper unire».

Lei non sarà della partita: già tempo fa ci aveva detto della sua disponibilità a correre per il Senato.
«Esatto. Il primo luglio mi sono dimesso da capogruppo della Lista Bruni, ora nelle mani di Nadia Ghisalberti, che merita assolutamente questo incarico. Le mie dimissioni hanno una doppia funzione: facilitare il ricambio e segnalare che la mia vita politica non è strettamente legata al Comune. Come si sa, ho dato la mia disponibilità per il Parlamento: toccherà al Pd stabilire se ritenerla opportuna e importante. Comunque l'ho già detto a L'Eco: in ogni caso non ne faccio certo un dramma, una questione di vita o di morte».

Avvocato, lei è un garantista da sempre ed è il difensore di alcuni indagati in inchieste che a Bergamo fanno rumore. Qual è il giudizio del penalista e del politico?
«Mi ricorda un film già visto, quello di Tangentopoli. In tutti i sensi. C'è un evidente e grave problema di legalità e di moralità, però come dimostra l'esperienza della Seconda Repubblica questo clima irrazionale ed emotivo non favorisce il transito verso un Paese più maturo ed europeo. Rischiamo di riattorcigliarci negli stessi difetti, quelli che hanno segnato la Seconda Repubblica: leaderismo estremo, sdoganamento e predominio degli interessi personali. Non a caso il ventennio che si sta chiudendo, nato sulla contestazione della caduta di legalità, è stato poi caratterizzato da derive ancora peggiori ed è stato segnato dall'uomo più ricco d'Italia, al centro di un gigantesco conflitto di interessi e coinvolto in molte vicende oscure. Certi moralisti d'accatto dovrebbero riflettere. Quanto all'altro aspetto, noto con preoccupazione che l'attenzione maggiore dei media e dell'opinione pubblica si è spostata sulle indagini preliminari che, per definizione, servono a raccogliere un materiale grezzo per vedere poi se si può imbastire il processo. Ecco, il contraddittorio fra le parti in condizioni di parità e dinanzi al giudice terzo ed imparziale, che dovrebbe essere la fase decisiva, non interessa più a nessuno, anche per colpa della lentezza della giustizia, una questione che è ormai prioritaria e andrebbe affrontata con decisione. Temo che questa logica, quella del risultato mediatico ottenuto con le indagini preliminari, stia prendendo anche qualche magistrato. Osservo pure che il termine "indagato" è purtroppo tornato ad essere uno stigma e che le tesi dei pm sono accettate immediatamente, a prescindere. C'è poi la questione dei tempi incredibili che passano fra le richieste della pubblica accusa e le ordinanze di custodia cautelare».

Già, e lei come se lo spiega?
«Mah».

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