Un notizia falsa, ed è protesta
Profughi chiedono soldi alla Ruah

«Si è diffusa in tutto il Nord la notizia, infondata, che la Caritas darebbe soldi ai profughi». Così in una trentina si sono presentati venerdì mattina alla Comunità Ruah chiedendo contanti e non solo. È dovuta intervenire la polizia.

«Si è diffusa in tutto il nord Italia la notizia, assolutamente infondata, che la Caritas sia nelle condizioni di dare soldi ai profughi». Così in una trentina si sono presentati venerdì mattina alla Comunità Ruah di via San Bernardino chiedendo contanti e non solo ai responsabili del centro accoglienza della Caritas.

Alcuni di loro sono ospiti del centro da mesi, altri a Casa Amadei non si erano mai visti. Quando le richieste hanno cominciato a diventare insistenti e minacciose, gli operatori della Ruah hanno chiesto l'intervento della polizia.

Gli agenti hanno presenziato all'incontro con i profughi sino al tardo pomeriggio, quando la riunione si è chiusa con la promessa di nuovi incontri tra gli extracomunitari e i responsabili del centro.

«La notizia non ha fondamento – spiega Bruno Goisis, responsabile di Casa Amadei – Qualcuno ci ha chiesto due, tremila euro, una casa, o un lavoro, sostenendo che in altre città il denaro è stato dato. Gli africani che accogliamo qui ricevono vitto, alloggio, assistenza legale e medica, 75 euro a persona ogni mese e 2 euro e 50 centesimi di pocket money al giorno. Abbiamo anche insegnato loro l'italiano. Di più non possiamo fare e continueremo così anche nei prossimi mesi».

Sulla vicenda interviene Orazio Amboni (dipartimento immigrazione Cgil): «I fatti di oggi impongono di ripensare il modello di accoglienza e di gestione finora attuato per l'emergenza rifugiati del Nord Africa. Come abbiamo altre volte proposto, anche nel Consiglio Territoriale per l'Immigrazione, i tempi sono maturi per sperimentare forme di "ospitalità diffusa": invece di concentrare i rifugiati, per mesi e mesi, in assembramenti di medio grandi numeri, è forse meglio favorire l'accoglienza in famiglie, d'intesa con il mondo del volontariato e della solidarietà. A parità di spesa questa forma di inserimento favorirebbe una migliore integrazione ed eviterebbe il formarsi di tensioni. Alle Cooperative verrebbe chiesto di concentrarsi in un ruolo diverso, quello della formazione, degli inserimenti lavorativi, del tutoraggio e aiuto alle famiglie. L'episodio di oggi deve spingere a riaggiustare il modello di accoglienza, non a chiuderlo».

Tutto su L'Eco di Bergamo del 22 dicembre

© RIPRODUZIONE RISERVATA