«Bergamo capitale del naso»
In futuro si costruiranno i tessuti

Il «bollino blu» arriva dal più importante congresso di chirurgia plastica del mondo, dove il primario del Papa Giovanni XXIII ha illustrato le ultime frontiere della chirurgia del naso. A Bergamo la maggior casistica di interventi ricostruttivi post tumore.

Il «bollino blu» arriva dal più importante congresso di chirurgia plastica del mondo, di scena in questi giorni in Cile, in cui il primario del Papa Giovanni XXIII ha illustrato le ultime frontiere della chirurgia del naso. A Bergamo anche la maggior casistica internazionale di interventi ricostruttivi post tumore.

Ricostruire un naso, ma anche semplicemente renderlo più bello e funzionale di quanto madre natura abbia fatto, è un'impresa che riesce ai massimi livelli a Bergamo.

Il «certificato di qualità» arriva da Santiago del Cile, dal 24 febbraio all'1 marzo sede del XVII congresso dell'IPRAS, International Confederation for Plastic Reconstructive & Aesthetic Surgery. Dalla ribalta del più importante appuntamento mondiale delle società scientifiche di chirurgia plastica del mondo, che raccoglie una platea di oltre 3000 partecipanti, Enrico Robotti, direttore della Chirurgia Plastica del nuovo ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, traccia con le sue presentazioni  le ultime frontiere sia per la ricostruzione del naso dopo trauma o tumore, sia per la rinosettoplastica vera e propria, l'intervento di chirurgia plastica che rimodella le ossa e il setto nasale. Un tema «caldo», sempre più affrontato in ospedale e in città, che dal 2008 è sede del Bergamo Open Rhinoplasty Course, l'appuntamento formativo che ogni due anni (il prossimo appuntamento è per il 2014) chiama a raccolta i maggiori specialisti del mondo e che, nell'ultima edizione del 2012, ha raccolto a Bergamo 280  chirurghi provenienti da 32 Paesi.

Sempre l'anno prossimo, poi, sarà ancora Bergamo ad ospitare il congresso nazionale della SICPRE, la Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica di cui Robotti è presidente, che vedrà i circa 1400 soci confrontarsi, insieme a molti altri temi, anche sul naso, tra funzione ed estetica.

«Il “bel nasino”, anche quando lo si riesce a produrre chirurgicamente, può nascondere l'insidia di una cattiva respirazione – dice Robotti, anche vice-presidente di The Rhinoplasty Society Europe, la società europea di rinoplastica -. Sono interventi strutturali, e talvolta effettivamente ricostruttivi non solo quelli in cui si affrontano nasi “distrutti” da tumore, ma anche tutti quelli relativi a nasi già operati. È la cosiddetta chirurgia secondaria: operare un naso già operato, di cui però il paziente non è soddisfatto, da un punto di vista estetico o funzionale. In base alla casistica raccolta con il mio team, circa 1 rinoplastica su 5 è secondaria».

Altrettanto “eccellente” la posizione della chirurgia plastica bergamasca per quanto riguarda la ricostruzione del naso dopo un tumore della cute. «Nel 2011 – sottolinea Robotti –, con uno dei miei collaboratori, il dottor Denis Codazzi, abbiamo pubblicato la più ampia casistica mai elaborata in proposito da un singolo ospedale. Un record internazionale: 3957 casi in 15 anni, di cui 891 alla piramide nasale»

“Open”, come all'estero
Una della particolarità della rinoplastica in “versione bergamasca” è la tecnica con cui viene eseguito l'intervento. Dice ancora Robotti: «Nel mio team utilizziamo la metodica “open”, aperta, che comporta un'incisione sulla columella, la striscia di tessuto che separa le narici. Si tratta di una tecnica che presenta innanzitutto  il grande vantaggio di esporre completamente tutte le strutture che compongono il naso: tramite l'incisione nella columella, si scollano i tessuti di rivestimento e si ha così accesso immediato e diretto alle cartilagini della punta, alle ossa nasali, al setto. Di qui la possibilità del massimo controllo su ogni fase dell'intervento.  Una bella differenza rispetto alla cosiddetta rinoplastica classica, in cui si scollano meno tessuti ma si interviene senza il beneficio della visione diretta e completa“

Un naso sul braccio? Anche no… 
La notizia è di poche settimane fa: il chirurgo inglese Alex Seifalian ha “coltivato” un naso sul braccio di un paziente. A causa di invasivo tumore della pelle, infatti, questi aveva completamente perso la cartilagine. Il risultato? Un profilo piatto, con evidenti problemi funzionali ed estetici.  Per ricostruire il naso, l'equipe del dottor Seifalian è partita prelevando cellule staminali dal midollo osseo del paziente. Utilizzando sue vecchie fotografie, trasformate in immagini 3D, è stato realizzato un calco in vetro che è servito da modello per creare “l'impalcatura”, cioè la struttura portante del nuovo naso, in poliuretano, sulla quale sono state depositate le cellule staminali, che sono state poi manipolate in modo tale che si sviluppassero dando origine al tessuto cartilagineo che costituirà la struttura portante del naso stesso.

Per favorire lo sviluppo di una quantità di pelle sufficiente per ricoprire il tessuto cartilagineo, all'uomo è stato innestato, sotto la cute dell'avambraccio, un palloncino che è stato gonfiato fino a fargli assumere le dimensioni del naso.
Qualche settimana fa, il palloncino è stato inciso e al di sotto è stato inserito il naso cartilagineo.
In questo modo, la pelle del braccio e la cartilagine del naso si uniscono tra loro, si “omogeneizzano” fino a costituire un unico tessuto. L'abbozzo di naso risulta così coperto di pelle e progressivamente si connette alla circolazione sanguigna e alle cellule nervose. Tra meno di 2 mesi, il nuovo “naso” sarà espiantato e innestato, con un nuovo intervento “microchirurgico”, nella posizione che occupa qualsiasi naso naturale.

Sembra un racconto di fantascienza, ma è realtà. Anche in Italia? «Ovviamente si tratta di un caso estremo – dice Robotti – e a mio parere anche molto indaginoso. Le ricostruzioni avvengono con buoni risultati estetici e funzionali di solito semplicemente ricorrendo ai tessuti vicini». Seppur ideato e condotto razionalmente, quindi, il “naso nel braccio” è ancora e solo una sorta di esperimento. «Ma molto, molto interessante per le implicazioni di poter costruire nuovi tessuti e organi utilizzando come “ospite” lo stesso paziente. Tessuti e organi potranno poi essere re-impiantati, come in un consueto trapianto ma senza le problematiche di possibile rigetto: si tratta di tessuti del paziente che quindi non richiedono le terapie immunosoppressive altrimenti obbligatorie».

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