Ma quell'auto stipata racconta
un po' di quello che eravamo

C'era un tempo, neppure tanto lontano, in cui un'automobile stracarica, come quella del tunisino di Albano fermato in A4 dalla Polizia stradale di Seriate, non avrebbe stupito così tanto se avesse percorso una strada del nostro sistema viario nazionale. Ma erano altri tempi…

Chi non è proprio un ragazzino e ha superato i cinquanta, scene del genere le ricorderà. Negli abitacoli c'erano già mogli e figli che aspettavano l'agognata sirena e quindi partire. In genere verso il Sud. Valigie, scatoloni di cartone riciclati e altri oggetti legati con le cinghie delle tapparelle, perché «tenevano meglio», il tutto ricoperto con grandi nylon in grado di proteggere, almeno un po', dalla pioggia. Quelle coperture avevano poi la prerogativa di gonfiarsi con l'aria e assumere le forme più strane, fornendo un sottofondo di rumori che era la colonna sonora del viaggio verso le ferie.

Al ritorno, quei portabagagli sarebbero stati colmati da damigiane e dai soliti scatoloni riciclati con dentro frammenti di radici e identità sottoforma di olio, olive, soppressata, pomodori e altri prodotti che hanno il ruolo di far sentire un po' meno lontana la terra dalla quale ti sei allontanato. Il particolare caso che la fotografia dell'auto del tunisino illustra non necessita di tante parole: è evidente il rischio, così come sono evidenti le velleità di chi trasforma la propria automobile nella valigia di Eta Beta, che contiene il mondo senza aumentare né di volume, né di peso.

Consapevoli dell'eccesso, comunque ci sentiamo un po' vicino a quel 38enne tunisino che ha deciso di portarsi dietro forse il «benessere» che si è costruito nel nostro Paese: un universo dove primeggia l'usa e getta, dove cose che qui cessano di aver valore, da altri parti nel mondo meritano di essere aggiustate, trasformate, barattate. Chi ha un minimo di esperienza del modus vivendi delle classi meno abbienti di altri Paesi del mondo, in particolare quelli meno ricchi, sa benissimo che da quelle parti le automobili sono contenitori per ogni genere di cose e animali.

Comunque ci siamo passati anche noi, non dimentichiamolo. Proviamo a pensare quando possedere un'auto non era così normale e allora si saliva in tanti, anche in otto, più un bambino o due in braccio. E chi si ricorda delle tre persone sulla «Vespa», o della normale famigliola costituita da madre, dietro, padre, alla guida, e bambino in piedi sula predella? Altri tempi, a cui comunque non fa mai male pensare, perché ci rende meno aridi nel giudicare e ci aiuta ad apprezzare quanto siamo riusciti a raggiungere nel corso degli anni. Volendo essere critici ci chiediamo se l'ardito tunisino proprio non poteva fare a meno di qualcosa: magari rinunciare ad un paio di cose gli avrebbe consentito di dare meno nell'occhio.

Dura lex, sed lex, recita un detto sempre attuale e quindi quella vecchia Opel Corsa ha giustamente incappato nelle regole che sono il cemento armato del vivere in comune con il giusto equilibrio. Però quella macchina stracarica è per molti di noi occasione per guadare nel nostro album di famiglia e ripensare alla nostre valigie di cartone e alla cinghie delle tapparelle legate strette ai nostri pochi beni che ci dovevano accompagnare verso le ambite ferie, o, come spesso accadeva, in direzione di luoghi dove il premio era un lavoro. Magari un futuro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA