Gli effetti della pandemia:
preoccupa più la psicosi

L'EDITORIALE
di Alberto Ceresoli

Una pandemia nella pandemia. Se è vero che il virus della nuova influenza è ormai largamente diffuso in tutta Europa – nella Bergamasca l'H1N1/2009 sarebbe la causa di sei casi su dieci –, è altrettanto vero che la psicosi che l'accompagna ha ormai raggiunto livelli ben più preoccupanti della malattia stessa, complice le 17 vittime registrate anche in Italia negli ultimi giorni. Tuttavia la scarsa «compostezza» con cui l'opinione pubblica reagisce oggi all'epidemia influenzale in atto è perfettamente in linea sia con l'atteggiamento confuso e contraddittorio con cui i responsabili della salute pubblica del nostro Paese hanno gestito il problema fin dall'estate scorsa (basti ricordare, ad esempio, le inutili quanto superficiali prese di posizione di questo o quel ministro sulla necessità o meno di rinviare l'apertura dell'anno scolastico), sia con quello – altrettanto irresponsabile – che la maggior parte dei media italiani (e comunque quelli che fanno opinione lungo tutto lo Stivale) hanno tenuto sulla vicenda, preferendo «strillare» nefasti quanto improbabili titoloni piuttosto che fare una corretta informazione. Regioni e Asl non hanno minori responsabilità visto che, seguendo pedissequamente gli indirizzi ministeriali, hanno tenuto un profilo bassissimo sull'intera vicenda, salvo poi ritrovarsi spiazzati quando l'epidemia è apparsa in tutta la sua evidenza. C'è poco da stupirsi – e poco da lamentarsi, dunque – se oggi la stragrande maggioranza di tutti noi vive con terrore anche un semplice starnuto.

Eppure, nonostante quel che si crede, l'H1N1 è un virus assai meno pericoloso di quelli di altre forme influenzali già oggi presenti nel mondo e di cui si sta già caratterizzando il genoma per avviare la produzione di vaccini nel giro di pochi mesi. Eppure, nonostante quel che si crede, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc) ha già ridimensionato le previsioni di alcuni mesi fa, ipotizzando un tasso di mortalità dell'H1N1 inferiore allo 0,1 sulle forme sintomatiche. Eppure, nonostante quel che si crede, lo stesso Cdc europeo ha nuovamente ribadito che servizi sanitari efficienti (e lo sono in buona parte d'Italia) sono in grado di reggere senza eccessivi contraccolpi a un picco epidemico della malattia. Certo, rispetto al virus dell'influenza «tradizionale», l'H1N1 è molto più contagioso, ma questo non ha nulla a che vedere con la sua pericolosità. Certo, in alcuni limitatissimi casi il virus è in grado di provocare la morte, ma esistono già alcuni studi di evidenza clinica che segnalano una possibile distorsione nella visione dello scenario complessivo, tanto che l'autorevole Cdc di Atlanta, negli Usa, annota che i ricoveri e le morti per infezione accertata da H1N1 sono una minoranza rispetto a quelli provocati da sindromi simil-influenzali di causa sconosciuta. Il vero problema è che sebbene dallo scorso aprile si siano consumati fiumi di inchiostro per dire tutto e il contrario di tutto sulla nuova influenza, la sua conoscenza è in continuo divenire, proprio perché ci si è trovati di fronte ad un virus nuovo, nei cui confronti la fretta è risultata una pessima consigliera.

Eppure nessuno ha mai fatto marcia indietro, preferendo tirar dritto su posizioni errate ma più «redditizie», in termini di audience e di fatturato. E c'è chi ipotizza che dietro tutto questo ci sia la lunga mano delle lobby farmaceutiche multinazionali. Vero? Chi può dirlo. Di certo, però, appare verosimile.

Alberto Ceresoli

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