I produttori: «Valtellina addio»
Scoppia «la guerra del bitto»

Tra i due litiganti il terzo... gode. Anzi, fa scorpacciata di formaggi. Proprio alla vigilia della fiera di San Matteo a Branzi – la vetrina degli allevatori della Val Fondra – nella confinante Valtellina si inasprisce lo scontro tra i produttori di Bitto. E dal presidente di quelli «storici», Paolo Ciapparelli, arriva l'affondo che sa di «secessione» quasi definitiva: «Qui in Valtellina non ci vogliono, faremo la mostra del Bitto storico a Branzi».

E sabato, proprio nel capoluogo della Val Fondra, Ciapparelli darà l'annuncio dello strappo. A monte della clamorosa decisione ci sta la «guerra» tra i produttori del formaggio Bitto in Valtellina, un «dop» tra i più conosciuti in Italia e non solo. Dal 1996 l'area di produzione del formaggio è stata estesa a tutta la Valtellina, operazione difesa dal Consorzio tutela Casera e Bitto: e la maggior parte di produttori ha accettato anche le nuove «licenze» introdotte dalla «dop», ovvero uso di mangimi, fermenti, mungitura a macchina e l'aggiunta di latte di capra facoltativa.

Cosa che non è piaciuta appunto ai produttori storici degli alpeggi delle valli del Bitto. I casari così si sono riuniti in associazione e, dal giugno scorso, hanno costituito il «Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico» (presidio Slow food). Il gruppo riunisce 14 produttori storici delle valli del Bitto (Gerola e Albaredo), ma anche degli alpeggi dell'alta Val Brembana e della Val Varrone, nel Lecchese. Produttori che, naturalmente, considerano un tradimento le possibilità introdotte dalla «dop». Ciapparelli e soci (che da poco hanno aperto una casera di stagionatura a Gerola), dicono di attenersi alle caratteristiche originarie del Bitto, dalla mungitura solo a mano, l'obbligo di non utilizzare mangimi e fermenti nel latte, aggiunta obbligatoria di latte di capra Orobica di Valgerola a quello vaccino. Il Bitto come una volta, insomma.

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