La Francia libera il bergamasco Vecchi
Il black bloc del G8 di Genova

Deve scontare 11 anni e 6 mesi per le devastazioni nel capoluogo ligure nel 2001. Latitante, era stato arrestato ad agosto in Francia. L’Italia ne aveva chiesto l’estrazione e aveva spiccato un mandato d’arresto europeo. Ora il Tribunale di Rennes ha contestato «l’irregolarità della procedura di esecuzione» di tale mandato. E Vecchi è tornato libero.

Nuovo casus belli fra la giustizia italiana e quella francese, stavolta per la liberazione di Vincenzo Vecchi: «militante altermondialista» per i suoi sostenitori Oltralpe, «ultimo black bloc del G8 di Genova ancora latitante» per l’Italia, che voleva fargli scontare la pena a 11 anni e 6 mesi. La Francia lo ha liberato per una «irregolarità procedurale». Esulta il Comitato di sostegno, che ha festeggiato Vecchi quando è uscito venerdì 15 novembre – libero – dal Tribunale di Rennes, in Bretagna, nel Nord-ovest della Francia.

Vecchi, 46 anni, era l’ultimo dei 10 black bloc più ricercati per le devastazioni al G8 di Genova del 2001 ancora latitante: Vecchi è bergamasco, nato a Calcinate ma residente a Mornico, dove aveva vissuto facendo il giardiniere prima di spostarsi nel Milanese. Esponente dell’area anarco-autonoma milanese, aveva fatto perdere le tracce nel luglio 2012 dopo la condanna definitiva in Cassazione per i fatti di Genova a 11 anni e 6 mesi per devastazione, saccheggio, rapina e porto d’armi. Per gli investigatori, il 20 e 21 luglio 2001, durante il G8, Vecchi faceva parte del gruppo denominato «Blocco nero» che, a volto coperto, si rese protagonista di violenze e incendi, prendendo di mira banche, negozi, auto, supermercati e dando anche l’assalto al carcere di Marassi.

Dopo Genova, dove fu riconosciuto come uno dei principali istigatori dei disordini, è stato condannato anche per violenze e porto d’armi a margine di una manifestazione antifascista a Milano nel 2006. Latitante dal 2012, Vecchi era stato arrestato l’8 agosto scorso in Bretagna, nel Morbihan, dove vive ormai da anni facendo l’imbianchino sotto falso nome. La polizia milanese si sarebbe messa sulle sue tracce dopo averlo individuato durante un soggiorno in Savoia, al confine con l’Italia, dove era rimasto una settimana per rivedere l’ex compagna e la figlia. Da allora era scattato il mandato d’arresto europeo e i francesi lo avevano rintracciato nel paesino di Saint-Gravé, dove viveva in una sorta di comune con documenti a nome di Vincent Papale.

In questi mesi di udienze in Corte d’appello si è costituito in difesa di Vecchi un comitato di sostegno, di cui fa parte fra gli altri lo scrittore Eric Vuillard, premio Goncourt 2017, che si è rallegrato oggi per «una vittoria che arriva in un panorama piuttosto sinistro in Europa, dove c’è un degrado delle libertà pubbliche e un graduale attacco ai diritti fondamentali». Il Tribunale di Rennes, però, al quale era richiesto di pronunciarsi dopo il mandato d’arresto europeo emesso dall’Italia per far scontare la pena a Vecchi, non è entrato nel merito delle accuse a Vecchi. È stata invece constatata «l’irregolarità della procedura di esecuzione» di tale mandato. I legali francesi di Vecchi sostengono che l’irregolarità era nel fatto che la procura francese non ha comunicato alla giustizia italiana il nome dell’avvocato italiano di Vecchi nel caso l’imputato fosse stato consegnato alle autorità del suo Paese. Si tratta, secondo i legali, di «un attacco irreparabile ai diritti della difesa» e un «colpo alla fiducia reciproca» fra i sistemi giudiziari dei due Paesi.

«Secondo una pessima tradizione iniziata negli anni del terrorismo rosso – ha commentato Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia – la Francia si conferma un autentico paradiso per i latitanti dell’eversione. Negando l’estradizione, la giustizia francese ha dato un altro schiaffo, l’ennesimo, all’Italia». «Leggeremo con attenzione le motivazioni del provvedimento – ha osservato Piero De Luca, capogruppo dem in commissione Politiche europee alla Camera – ma apprendere la notizia della scarcerazione, dopo che l’Italia ha chiesto invano l’estradizione, non può non suscitare forti dubbi e preoccupazioni. Ribadiamo con forza e fermezza che le sentenze vanno rispettate anche in altri Stati membri, nel quadro di una leale collaborazione e cooperazione giudiziaria europea».

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