«La speranza è la porta sul futuro»
Gli auguri di Natale del vescovo Beschi

«La sua nascita diventa affidamento: Dio si consegna agli uomini e da questa consegna radicale scaturisce una storia nuova, sempre nuova». Leggi il messaggio augurale del nostro vescovo Francesco Beschi per questo Natale.

«Le grandi feste cristiane rappresentano una specie di riserva di speranza. Vi attinge chi crede, ma anche i meno interessati e coinvolti sembra che avvertano questa possibilità. Il Natale, con al centro il mistero della nascita di Gesù, ha certamente queste caratteristiche: ogni nascita porta con sé un appello alla speranza. E la speranza è la porta che si apre sul futuro.

Avvertiamo tutti che la questione che segna il nostro presente è proprio il futuro: non solo l’incertezza, ma anche la rassegnazione, sembrano alimentare tentazioni di ripiegamento e di chiusura. La celebrazione della nascita di Gesù si propone alla coscienza e al cuore di ciascuno come sorgente inesauribile di speranza e dunque di futuro. L’annuncio sorprendente che Dio si avvicina agli uomini percorrendo le strade della nostra umanità, le strade dell’umanità provata e indebolita nella speranza, si consegna alla libertà di ciascuno: di chi crede, perché nuovamente creda; di chi non crede, perché vi possa riconoscere una luce. La vicinanza che attendiamo come risposta a concreti bisogni e a profondi desideri, assume il volto umano di Dio che sceglie la strada della condivisione: una scelta impegnativa perché non si affida a formule o programmi, ma alla disposizione a mettere in gioco Se stesso, senza alcuna riserva. Proprio perché condivisione, non si propone dall’alto, ma nasce dal basso, dal primo gradino, quello delicato del grembo di una donna, del grembo di una grotta, del grembo della notte.

La sua nascita diventa affidamento: Dio si consegna agli uomini e da questa consegna radicale scaturisce una storia nuova, sempre nuova. La notte della Nascita è cosparsa d’indifferenza e ostilità, ma anche di accoglienza, di meraviglia, di movimenti sottili, di orizzonti impensati. Il ricordo di quella notte suscita sempre nostalgia: nostalgia di un’infanzia pura, nostalgia di affetti cari, nostalgia di sogni coltivati, nostalgia di tempi migliori. E’dolce la nostalgia, ma il cammino viene aperto dalla riconoscenza. Il ricordo è capace di generare futuro quando alimenta riconoscenza. Riconoscenza per ciò che abbiamo ricevuto e soprattutto per chi ce lo ha donato. Non basta affermare o difendere tradizioni, identità e radici: è indispensabile uno sguardo riconoscente. La riconoscenza non sostituisce la rivendicazione di legittimi diritti che tanto più debbono essere garantiti, quanto più debole, delicata e dimenticata è la condizione di chi ne viene privato. Un cuore riconoscente non è paralizzato dal peso della restituzione o amareggiato dal male subito, ma è corroborato dalla bellezza di ciò che semplicemente abbiamo ricevuto.

La riconoscenza trasforma il ricordo nell’interiore forza che genera novità non segnate dai nostri pervicaci egoismi, ma dalla bellezza della creatività, della passione, della condivisione. Se la riconoscenza abbraccia il passato e lo feconda perché diventi futuro, la nascita di ogni uomo, la nascita del Dio fatto uomo, esigono nel presente le virtù della fedeltà e della pietà. Il Natale di Gesù è testimonianza incarnata della fedeltà di Dio.

La forza della speranza si nutre dello spessore della fedeltà. Risuona nelle orecchie di tutti la voce smarrita che grida o sussurra “di chi ci si può fidare”. Soltanto l’interiore fedeltà di ciascuno a Dio, alla propria coscienza, ai valori non scritti che disegnano la nostra umanità, diventa risposta dignitosa e consistente alle attese di chi ci è caro e si fida di noi, alle attese che reciprocamente alimentiamo sperando in un futuro migliore. Ma la fedeltà deve accompagnarsi alla pietà, parola antica che oggi decliniamo in solidarietà, condivisione, amore e carità. Pietà è considerazione impegnativa della debolezza dell’altro, chiunque esso sia; si incarna nel gesto personale e nella responsabilità sociale, è capace di farsi prossimo all’uno, senza dimenticare l’altro. Non si misura prima di tutto sugli esiti, ma sul cuore e la passione umana di chi la esercita. In questi giorni tanti bambini si sono affacciati ai miei occhi: alcuni con la spensieratezza dei loro anni, altri con il segno precoce di una sofferenza. Tutti mi hanno ricordato il volto di Dio, fatto bambino, perché in loro e in ogni uomo potessimo riconoscerlo. Questo sguardo illuminato dalla luce del Natale, può aprirsi sul futuro e aprire al futuro».

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