«Mia nonna miracolata da don Bosco»
La sua storia la racconta il nipote

Era inferma, colpita da una grave forma di artrite, ma pochi istanti dopo aver pregato a Torino davanti all’urna con il corpo di don Bosco, guarì miracolosamente e cominciò a camminare. Il racconto del nipote di Caterina Pilenga di Urgnano.

Era inferma, colpita da una grave forma di artrite, ma pochi istanti dopo aver pregato a Torino davanti all’urna con il corpo di don Bosco, guarì miracolosamente e cominciò a camminare. Questa prodigiosa guarigione, avvenuta nel lontano 1931, fu determinante per la canonizzazione dell’apostolo della gioventù avvenuta tre anni dopo.

C’è un pezzo di Bergamo, e più precisamente di Urgnano, nella santità del grande prete torinese fondatore dei Salesiani. Fu infatti grazie al miracolo riconosciuto a una donna del paese, Caterina Lanfranchi Pilenga, scomparsa nel 1945 e all’epoca 62enne, che l’allora beato Giovanni Bosco poté ufficialmente diventare Santo.

E il prossimo venerdì 7 febbraio alle 8,30, 83 anni dopo quei fatti, l’urna con le reliquie si fermerà proprio nella parrocchiale di Urgnano, durante il pellegrinaggio per l’Italia, prima di ripartire alla volta del Patronato San Vincenzo, del Seminario e della Cattedrale di Bergamo dove resterà esposta fino a domenica 9 febbraio.

Un evento che per i discendenti di Caterina assume un significato e un’emozione particolare, come ricorda il nipote Italo Pilenga, classe 1937, noto imprenditore tessile di Urgnano, figlio di Giuseppe Pilenga.

«Anche se all’epoca dei fatti non ero ancora nato – racconta –, mi ricordo bene di mia nonna Caterina, la cui storia ha segnato il percorso della nostra famiglia. Basti dire che quasi tutti siamo poi andati a studiare dai Salesiani: io ad esempio vi ho frequentato le medie. La nostra era infatti una famiglia allargata e matriarcale, con al centro nonna Caterina e nonno Alessandro, e abitavamo tutti insieme nel cortile di via Rimembranze. Ci metteva soggezione e tutte le mattine, la prima cosa da fare era quella di andare a portarle il saluto e domandarle: “Buongiorno nonna, ha dormito bene?”. Così lei ci ricompensava dandoci gli “anesì” da succhiare».

Per saperne di più leggi L’Eco di Bergamo del 29 gennaio

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