Mutui, tasse, rate e bollette
In fumo metà della tredicesima

Quanto nella nostra vita sia diventato essenziale, anzi connaturato, il cellulare o lo smartphone, assurti ormai a parte del nostro corpo, lo dimostra un recente studio della Boston Consulting, per conto del gigante digitale Google.

In Spagna, Regno Unito, Germania, Francia e Italia gli intervistati si dicono disposti a rinunciare a tutto, in tempi di crisi (eccetto la tv, ma questa non è certo una novità). Possiamo fare a meno del cinema, del teatro, persino della radio. Possiamo rinunciare ad alcolici, caffè, esercizio fisico, ma non all’accesso della Rete in mobilità. Dobbiamo essere sempre connessi come i pesci nuotano nell’acquario. Tendenza che si inserisce perfettamente nei numeri del settore digitale della comunicazione: ricavi per 92 miliardi di euro e 250 mila posti di lavoro nell’Europa a cinque, quella che sembra essere più unita dallo smartphone che dall’euro. Il fatturato del «mercato mobile» raddoppierà, raggiungendo quota 230 miliardi di euro, con un tasso d’incremento del 25 per cento, confrontabile con quello registrato in Cina e Stati Uniti. Ed è una delle poche notizie positive in questi tempi di recessione che non accenna a smettere, soprattutto dalle nostre parti. In Italia il settore del mobile Internet sfiorerà i 24 miliardi nell’arco dei prossimi tre anni. Già oggi il nostro Paese è il terzo per utilizzo di smartphone in Europa, con una penetrazione pari al 68 per cento fra i maggiorenni.

Da uno studio di Deloitte risulta inoltre che gli italiani si connettono dallo smartphone appena svegli e sono i primi in Europa ad accedere alla Rete in mobilità: il 35 per cento degli italiani monitora il telefonino entro i primi 5 minuti dal risveglio. La messaggistica istantanea ha messo a segno un incremento del 53 per cento rispetto all’anno scorso. Il buongiorno insomma non ce lo dà la moglie, il cane, la televisione, la radiosveglia o la macchinetta del caffè, ma il telefonino, l’ultimo oggetto con cui ci addormentiamo e il primo con cui ci risvegliamo. Ed è l’unica sostanziale notizia di trend positivo in questa gelata dei consumi che sembra non avere fine. Quest’anno, a dieci giorni dal Natale, non c’è nessuna frenesia nei negozi, le altre spese non decollano (a parte, appunto, gli smartphone). Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio nazionale Federconsumatori, si registra una contrazione del 6,2 per cento rispetto allo scorso anno, confermando la tendenza negli ultimi anni. Quella dei consumi è uno dei chiari segnali della crisi drammatica che stanno vivendo le famiglie italiane, come sottolineano anche Federconsumatori e Adusbef.

La spesa dei regali di Natale è passata dai 208, 33 euro del 2010 (pari a un giro d’affari complessivo di 5,2 miliardi di euro) ai 125,70 previsti quest’anno (pari a 3,14 miliardi di euro). A risentirne maggiormente sono i settori dei mobili, dell’arredamento e degli elettrodomestici, seguiti dall’abbigliamento e dalle calzature. Non c’è da stupirsene, se pensiamo che le tredicesime, concepite proprio per incrementare i consumi (in origine si chiamava «gratifica natalizia», successivamente venne adottata dal regime fascista ed estesa a tutti i lavoratori nel Dopoguerra) quest’anno se ne andranno per oltre la metà in mutui, tasse, rate e bollette arretrate. E pensare che, secondo Coldiretti, risultano più ricche dell’uno per cento rispetto all’anno precedente. Solo il 26 per cento userà la tredicesima per i regali e il 23 per cento per il risparmio. Insomma: dei 39 miliardi di euro aggiuntivi nella busta paga, quasi venti finiranno nelle casse dello Stato o andranno a saldare i debiti degli italiani, proprio nei giorni in cui tra Imu, Tasi e Tari si verifica un vero e proprio ingorgo fiscale. Attenzione pero, perché secondo un’indagine dell’Adn Kronos condotta su mille aziende sparse su tutto il territorio nazionale, il 27 per cento di queste non riuscirà a rispettare gli impegni contrattuali con i propri dipendenti e le consegnerà in ritardo. O addirittura non le consegnerà per niente. Interpellati, i datori di lavoro inadempienti hanno giustificato i mancati pagamenti per la mancata concessione di prestiti da parte delle banche e la concentrazione degli adempimenti fiscali. Tasse, tasse, e ancora tasse.

© RIPRODUZIONE RISERVATA