«Onu vecchia e bloccata dai veti
Il mondo dipende da Usa e Cina»

Intervista all’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata: «Nazioni unite bloccate dai veti del Consiglio di sicurezza. L’Europa è soltanto una spalla dei grandi, la russia un colosso militare dai piedi d’argilla».

Il governo del mondo avviene sempre più all’esterno dell’Onu, su scala regionale, per effetto dei veti nel Consiglio di sicurezza che paralizzano le Nazioni Unite: anche per questo Italia ed Unione europea devono attrezzarsi meglio per affrontare le sfide del nostro tempo. L’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli Esteri nel governo Monti, ragiona in termini realistici su questi grandi temi.

Ambasciatore, cominciamo dai limiti del «Parlamento del mondo».
«Bisogna guardare all’esperienza di un’istituzione che ha 70 anni e chiederci perché il Consiglio di sicurezza soffra nel gestire le crisi più difficili: questo organismo offre una sintesi degli equilibri globali piuttosto virtuale a danno del ruolo delle Nazioni Unite».

Per via dei veti reciproci dei 5 membri permanenti (Usa, Cina, Russia, Gran Bretagna, e Francia)?
«Sì, ma occorre chiarire. L’Onu, negli ultimi 20 anni, ha esercitato un’azione attiva e risoluta essenzialmente nelle crisi africane, ma non sugli altri fronti caldi, come il Medio Oriente, o su questioni primarie per l’Italia e l’Europa».

Proprio la tregua in Ucraina non è stata negoziata dall’Onu.
«Una vicenda esemplare, e parliamo della più grave crisi dai tempi del blocco sovietico di Berlino dopo la Seconda guerra mondiale: la sola possibilità di un veto da parte russa ha escluso la presenza Onu, tant’è che al tavolo si sono seduti Russia, Germania e Francia. Si tratta di un format destinato a protrarsi. Lo stesso vale per le tragedie dei migranti».

Infatti l’Italia aspetta la risoluzione Onu per usare la forza contro i barconi in partenza dalla Libia.
«Vediamo le grandi difficoltà per ottenere una risoluzione veramente incisiva. Ci sono elementi contraddittori che continuano a circolare e del resto il precedente della “risoluzione 1973”, che nel 2011 aveva autorizzato l’intervento per finalità di protezione umanitaria in Libia, lascia un’ombra molto forte: da allora Mosca ha sempre contestato la possibilità che gli occidentali si avvalgano dell’uso della forza, temendo l’eventualità di un cambio di regime. Parlo di questo e della crisi ucraina, perché sono due aspetti da inquadrare in una prospettiva più ampia, ma potrei ricordare altri passaggi importanti che si sono consumati al di fuori del Consiglio di sicurezza: il riconoscimento del Kosovo e, da parte russa, di Abkhazia e Ossezia».

E che tendenze si prospettano?
«C’è una forte tendenza evolutiva del diritto internazionale e l’Italia può giocare un ruolo, perché è un assertore molto convinto della legalità internazionale: ha una formidabile tradizione giuridica e dispone di illustri giuristi che siedono negli organismi internazionali. Per evoluzione intendo l’affermarsi dei diritti umani nel mondo, dei diritti sociali ed umanitari: dopo il genocidio in Ruanda s’è, infatti, imposta la “responsabilità per proteggere”, riconosciuta come diritto-dovere della comunità internazionale previa decisione del Consiglio di sicurezza. Tutto questo comporta un approccio nuovo alla sicurezza e alla gestione delle crisi. Il secondo aspetto è che il governo di queste materie sensibili si sta trasferendo al di fuori dell’Onu, affidato all’attività delle organizzazioni regionali: Nato, Unione europea, Unione africana, Lega araba, Organizzazione degli Stati americani».

Questo cosa comporta?
«L’Italia deve continuare a lavorare per una riforma del Consiglio di sicurezza, ma mi chiedo: è ragionevolmente riformabile, o dobbiamo invece prendere atto realisticamente– non dico di arrenderci – che nessuno dei membri permanenti ratificherebbe la rinuncia di posizioni acquisite da 70 anni? Se la situazione è questa, sarebbe ingenuo, se non poco intelligente, ripararsi dietro il “ non muoviamoci e aspettiamo che decida il Consiglio di sicurezza”. L’abbiamo fatto in passato, ma a 15 anni dal Kosovo non possiamo far finta che la comunità internazionale si senta ancora ammanettata dall’inazione dell’Onu».

E quindi il governo del mondo?
«Parlerei di un G2, Stati Uniti e Cina, allargato. L’America sta tornando da protagonista sulla scena mondiale, perché la sua economia è ripartita e l’amministrazione Obama sta agendo a tutto campo. Con la Cina è stato riattivato il dialogo sulla sicurezza e sono stati riaperti i canali militari: ci sono le condizioni per una notevole cooperazione, anche su un tema decisivo come l’ambiente. Possiamo chiederci: e l’Europa e la Russia? La politica di difesa e sicurezza dell’Europa non equivale alla sua forza economica: lo abbiamo visto anche con le recenti decisioni sui migranti. L’Europa come attore globale ha solo un ruolo di “spalla” dei due protagonisti. La Russia è un colosso militare con i piedi d’argilla, con un’economia in declino e con un sistema che non riesce ad uscire dalla condizione di democratura».

E l’Italia?
«Ci sono responsabilità nazionali più forti rispetto al passato e non possiamo illuderci che altri vengano a fare il lavoro che compete a noi: dobbiamo attrezzarci in modo adeguato sul versante diplomatico, economico e militare. E, guardando al futuro, è indispensabile accrescere solidarietà europea e coesione atlantica. In un mondo di conflittualità crescenti possiamo sperare di giocare un ruolo di stabilità solo se siamo coesi: non solo sui temi della sicurezza, ma anche sui principi che contano, come il diritto d’asilo e la politica migratoria».

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