Si è spenta suor Agnese
Portò il sorriso in Ruanda

Ha trascorso ventisette anni della sua lunga vita in un monastero in Ruanda, dove tornò per la ricostruzione dopo la sanguinosa guerra civile. Aveva il «mal d’Africa» nel cuore, tanto da ripetere spesso frasi nell’idioma locale.

Ha trascorso ventisette anni della sua lunga vita in un monastero in Ruanda, dove tornò per la ricostruzione dopo la sanguinosa guerra civile. Aveva il «mal d’Africa» nel cuore, tanto da ripetere spesso frasi nell’idioma locale.

All’insegna del servizio, ha fatto veramente di tutto suor Maria Agnese De Lorenzi osb, monaca del monastero di San Benedetto, morta ieri mattina a quasi 95 anni. Era nata a Teolo (Padova) il 21 giugno 1919 e battezzata con il nome di Luigia.

La sua è una famiglia numerosa, di cui è vivente una sorella centenaria. Il papà, contadino dell’abbazia benedettina di Praglia, muore sul lavoro mentre taglia un albero quando è ancora piccolissima. A 16 anni Luigia matura una vocazione monastica precoce e determinata, abbracciando fedelmente l’«Ora et labora» della Regola. Non essendoci posti per le novizie nei monasteri padovani, viene indirizzata nel monastero bergamasco. Negli anni Cinquanta è inviata a La Spezia per collaborare alla fondazione di un monastero, anche se poi l’opera non va in porto.

Nel gennaio del 1968 la svolta della sua vita. Un monastero benedettino belga chiede due monache al monastero bergamasco da inviare in un convento a Sovu, in Ruanda.

La risposta all’appello viene caldeggiata dall’arcivescovo Clemente Gaddi per testimoniare la «missio ad gentes» del Concilio. Vengono scelte suor Maria Agnese e suor Giampaola Gorla. «A Sovu le volevano tutti un mondo di bene – ricorda commossa suor Gorla –. Laggiù imparò anche il kiliruanda, la lingua locale, ed era affascinata dalla liturgia africana. Il monastero era anche luogo di accoglienza e vi si riunivano i vescovi delle Conferenze episcopali di Ruanda e Burundi».

Nel 1994, per motivi di salute, prima dello scoppio della tragica guerra civile fra le tribù Tutsi e Hutu, suor Maria Agnese rientra a Bergamo, dove segue con cuore spezzato le notizie dei massacri e le sorti della comunità del monastero, costretta a evacuare. L’anno seguente, cessate le ostilità, viene inviata in Burundi per stendere un rapporto sulla situazione e pensare alla ricostruzione.

«Rimase sconvolta – ricorda ancora suor Gorla – nel vedere tante rovine, fra cui anche il monastero e nell’apprendere dei nostri “morti di casa”: infatti, nove monache erano state uccise negli scontri».

Suor Maria Agnese stende la sua relazione da inviare in Belgio e nei mesi che rimane in Ruanda rianima il monastero e fa installare una macchina per le particole, dando lavoro a una decina di ragazze. Ma soprattutto semina parole di pace, misericordia e riconciliazione, il bene più prezioso.

Poi ritorna nel monastero bergamasco, dove è anche maestra delle novizie. «Aveva un’allegria innata, che sapeva trasmettere a tutti – ricordano le consorelle –. Parlava spesso della sua Africa e spesso ripeteva frasi o parole nella lingua locale». Qualche giorno fa suor Maria Agnese, colpita da alcuni disturbi, era stata ricoverata nel nuovo ospedale, dove si è spenta. I funerali si terranno martedì alle 10 nella chiesa del monastero.

© RIPRODUZIONE RISERVATA