Truffa alle Cartiere, parla Picone:
«Soldi della Pigna per le tangenti»

«Io conoscevo il ministro venezuelano dell'Educazione, Annibale Isturriz, e suo cugino Asdrubale Isturriz che era direttore generale del ministero. Avevo contatti con l'ingegner Hector Martinez, ex ministro e presidente dell'azienda che gestisce l'energia elettrica in Venezuela, e con l'ex ministro Vinicio Carrera, conoscevo imprenditori di aziende leader e il capo di Stato maggiore dell'esercito nominato direttamente dal presidente Hugo Chavez».

Impressiona quest'araldica delle conoscenze intercontinentali, questo «pierraggio» cosmopolita sgranato come un rosario nella piccola aula di una città di provincia come Bergamo. Serve almeno a dare una patina planetaria a un «bidone» che, per certi versi (dalle visite di finte delegazioni diplomatiche alle lettere del governo venezuelano dettate da uno degli imputati), s'è rivelato di furbizia ruspante: alla Totò e Peppino, per intenderci. Che fine abbiano fatto i 4 milioni e 400 mila euro sborsati dalle Cartiere Pigna per il fantomatico affaire «Plan Robinson», il piano di alfabetizzazione del governo venezuelano che avrebbe dovuto portare nelle casse dell'azienda di Alzano 30 milioni di euro per forniture di materiale scolastico, nessuno però è riuscito finora a dirlo.

Nemmeno Joseph Picone, 39 anni, intermediario bergamasco diventato cittadino del mondo (Usa, Svizzera, Romania, Venezuela e ultimamente Perù, le sue residenze), imputato per truffa insieme al legale messinese Filippo Battaglia, procacciatore d'affari stabilitosi in Venezuela, in un processo che ha visto sfilare testimoni illustri, dall'onorevole Giorgio Jannone (all'epoca membro del Cda e ora presidente) al sindaco di Bergamo Franco Tentorio (presidente del collegio sindacale della Pigna).

È stato il trentanovenne, difeso dall'avvocato Gianfranco Lenzini, dopo l'elenco di illustri contatti, a raccontare davanti al giudice Federica Gaudino come quello che doveva essere un business fosse nato nel 2003 su input di Carillo Pesenti Pigna, suo amico d'infanzia e all'epoca presidente delle Cartiere, interessato al mercato sudamericano. Picone fa da tramite fra l'allora amministratore delegato della cartiera Giorgio Paglia e l'avvocato Battaglia, «che in Venezuela aveva portato a termine affari per centinaia di milioni di dollari per aziende come Oto Melara e Breda».

«La Pigna – ha continuato l'imputato – laggiù era interessata anche all'acquisto di una fabbrica di cellulosa. In seguito Paglia mi ha dato l'incarico di interessarmi anche agli affari di una sua società con sede a Orio al Serio (la Sintec, ndr)». Picone diventa così il rappresentante della cartiera in Venezuela e ottiene un anticipo di 12 mila euro a cui seguiranno altri 30 mila dollari. «Mi servivano per esplorare il mercato e per mantenermi – ha raccontato in aula il mediatore, che come base aveva scelto l'hotel Hilton di Caracas – e non avevo l'obbligo di presentare rendiconti o fatture».

Forse perché non è un mistero che in certi posti del Sudamerica è consuetudine oliare gli ingranaggi della burocrazia. Sì, insomma, tangenti: lo ha confessato lo stesso imputato. «In quei Paesi informali come il Venezuela – ha illustrato – se ti metti in coda per parlare con un ministro puoi attendere anche sei mesi. Se invece sei "generoso"...». Ma a questo punto i 12 mila euro più i 30 mila dollari paiono insufficienti per coprire le spese del suo lussuoso soggiorno e nel contempo «ungere» funzionari sudamericani. E infatti a Picone la giustizia italiana chiede conto del milione e 740 mila euro e di altro denaro, usciti dalla Pigna e transitati dalle sue mani.

«Quei soldi li ricevevo su disposizione di Paglia e li portavo in busta a Carillo a Milano per sue esigenze. A volte erano in contanti, altre in assegni – ha spiegato Picone –. Paglia ha spesso coperto Carillo. Quest'ultimo si rivolgeva a me, che ero suo amico, perché in quel periodo aveva un forte problema di tossicodipendenza da cocaina e credo che non volesse farlo sapere ai collaboratori». Che strada abbiano preso quelle somme non s'è ancora intuito benissimo. Paglia nelle scorse udienze ha affermato che la metà del milione e 740 mila euro la trattenne Carillo, mentre l'altra andò a Battaglia. Picone però ha messo la firma sulle ricevute ed è l'unica traccia che rimane di quel denaro.

«Sì, lo so – ha ammesso –, a posteriori posso dire che è stato un errore firmarle e assumermi tutte le responsabilità, ma in Pigna c'era il problema di giustificare quell'uscita di denaro e l'ingegner Paglia mi chiese di farla passare come "spese di rappresentanza" per il Venezuela. Erano professionisti seri, Paglia era stato anche amministratore delegato dell'Atb, e io non volevo contrariarlo perché il mio interesse è che andasse in porto il Plan Robinson». Come sia finito l'affaire Venezuela è noto. Resta da capire dove siano spariti i 4 milioni e 400 mila euro della cartiera. La sentenza di questo processo, tra l'altro a rischio prescrizione, potrebbe aiutare. Stefano Serpellini

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