Vanessa e Greta, video in rete
per mettere l’Italia sotto pressione

Una coltre di mistero continua ad avvolgere il destino della varesina Greta Ramelli e della bergamasca Vanessa Marzullo, le due giovani italiane rapite nel Nord della Siria a fine luglio e per la prima volta riapparse dopo cinque mesi in un video diffuso nella notte di Capodanno.

Sono troppe le voci non confermate e troppo poche invece le certezze in possesso degli analisti che in queste ore tentano di fare chiarezza su una vicenda che sembra essere entrata nella sua fase più delicata, forse decisiva. Secondo fonti informate, le due ragazze sono rimaste nella regione dove sono state rapite questa estate: a Sudovest di Aleppo, nella campagna di Abizmu, una zona fuori dal controllo sia delle truppe del regime sia dei miliziani della Jabhat al Nusra (l’ala siriana di Al Qaeda), ma dove i qaedisti «si muovono comunque con facilità».

Di giovedì la notizia, basata solo su una testimonianza non verificabile di un sedicente membro di al Nusra, che le due italiane sarebbero in mano del gruppo estremista. Nel video, Ramelli e Marzullo appaiono con indosso un lungo mantello nero che lascia scoperto solo il viso. Nella zona di Aleppo sono numerosi i gruppi islamici che impongono alle donne un simile abbigliamento. In quell’area almeno sei gruppi armati lottano per imporre la propria influenza accanto ad altre milizie minori. Tra questi ci sono gruppi cosiddetti moderati, che ricevono armi e soldi dagli Stati Uniti, ma ci sono anche i jihadisti di Ahrar ash Sham, che a settembre avevano rivendicato l’arresto a ridosso della frontiera turca di «uno dei rapitori» delle due italiane.

«La Nusra non è un gruppo chiuso e monolitico ma riceve affiliati da altri gruppi a seconda delle circostanze della guerra in corso», raccontano fonti siriane della regione di Aleppo. «Chi oggi non è Nusra, domani può diventarlo. E dopodomani rinnegare l’appartenenza e mostrarsi come un moderato».

Le fonti informate, dal canto loro, non escludono che il video pubblicato in Internet poteva servire in origine per dimostrare alle autorità italiane la prova in vita di Ramelli e Marzullo. E che successivamente è stato reso pubblico dai rapitori per «alzare il prezzo del riscatto». Il videomessaggio, affermano le fonti, sembra esser stato volutamente drammatizzato per alzare l’attenzione sulla loro sorte e mettere sotto pressione l’Italia.

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