Confindustria: dopo la crisi
i bergamaschi rischiano di meno

Soddisfatti, per carità. Contenti di vivere nella Bergamasca, come no. Ma sotto sotto un po' spenti. Timorosi al punto di aver perso una caratteristica peculiare: quella dell'imprenditività. Dopo la crisi, i bergamaschi si scoprono più conservatori.

Soddisfatti, per carità. Contenti di vivere nella Bergamasca, come no. Ma sotto sotto (nemmeno tanto) un po' spenti. Timorosi al punto di aver perso una caratteristica peculiare: quella dell'imprenditività. Cosa diversa dal fare impresa in sé e per sé, perché contempla la voglia di rischiare e innovare.

In parole povere, dopo la crisi, i bergamaschi si scoprono più conservatori, meno flessibili e aperti al cambiamento. Il 62% cerca più protezioni, sicurezze e certezza, il 50 privilegia la conservazione di quel che ha rispetto all'innovare per costruire qualcosa di nuovo, il 31 cerca la garanzia di un posto fisso, il 22 afferma di aver perso fiducia ed entusiasmo, il 21 riconosce di aver meno voglia di mettersi in proprio e il 17 di creare una nuova impresa. E se il dato diventa riferito agli altri, ben l'87% sottolinea una rilevante perdita d'imprenditività diffusa tra i bergamaschi.

Lo rivela l'indagine (800 telefonate, un campione elevatissimo) commissionata da Confindustria ad Astra Ricerche: «Volevamo aprirci ai cittadini, costruire insieme un futuro di benessere e crescita per il territorio», spiega il presidente Carlo Mazzoleni. Ne è uscito uno spaccato in chiaroscuro della Bergamasca: dati e tendenze sui quali riflettere, in chiave economica e sociale.

Al netto di tutti i fattori, comunque, ben il 78% non si muoverebbe da dove sta e l'81 non abbandonerebbe la provincia. Anche perché c'è soddisfazione per il proprio status socio-economico «anche se si tratta di sentimenti della sfera più privata, un minuto benessere diffuso». E al tirar delle somme, il sentimento prevalente è fiducia e speranza (66%).

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