Licenziata e reintegrata dal giudice
La casa di riposo: «Noi corretti»

Licenziata dalla cooperativa per cui lavorava, che aveva perso l'appalto per una casa di riposo, la dipendente è stata reintegrata dal Tribunale: il rapporto di lavoro, ha stabilito il giudice, doveva continuare con la casa di riposo. Che, in una replica, ribadisce però la correttezza del proprio operato.

Licenziata dalla cooperativa per cui lavorava, che aveva perso l'appalto per una casa di riposo, la dipendente è stata reintegrata dal Tribunale: il rapporto di lavoro, ha stabilito il giudice, doveva continuare direttamente con la casa di riposo. Che, in una replica, ribadisce però la correttezza del proprio operato.
 
«Ancora una volta - scrive la Cgil di Bergamo - il tribunale del lavoro dà ragione all'Ufficio Vertenze del sindacato che ha impugnato il licenziamento di una socia-lavoratrice. A seguito di un'ispezione della Direzione Provinciale del Lavoro di Bergamo, che ha accertato l'irregolarità del contratto di appalto tra la Cooperativa General Assitance e la Casa di Riposo “Brolis Giavazzi” di Verdello, a farne le spese sono state le lavoratrici che sono state  lasciate a casa».

La casa di riposo - prosegue la Cgil - si è avvalsa, per i servizi di assistenza, di una  nuova cooperativa ma non si è minimamente preoccupata della sorte delle lavoratrici. Due di loro si sono rivolte all'Ufficio Vertenze della Cgil di Bergamo e da una attenta analisi del rapporto di lavoro si sono evidenziati elementi di non genuinità del rapporto di socio-lavoratore.

«Infatti, come anche accertato dal Tribunale del Lavoro di Bergamo avanti al giudice del lavoro Monica Bertoncini, il rapporto di lavoro era di fatto gestito dalla casa di riposo. Era la stessa Casa di Riposo che gestiva i turni di lavoro, le presenze, ed era la lei che forniva i mezzi di lavoro».

La lavoratrice, U.C. di anni 31, nata in Bolivia, lavorò come Asa dal 15 dicembre 2008 al 23 settembre 2009, giorno del recesso, prestando la sua attività  lavorativa presso la Casa di Riposo “Brolis Giavazzi” per il tramite della Cooperativa General Assitance.

L'attività lavorativa delle “socie-lavoratrici” - prosegue il comunicato della Cgil - non veniva coordinata dalla Cooperativa, tant'è che non vi era nemmeno la figura del coordinatore, pertanto chi decideva i turni e le ferie era il Responsabile della Casa di Riposo. La stessa Casa di Riposo forniva al personale della cooperativa un suo badge, una sua modulistica utile al servizio e le divise di lavoro.

Di fronte alle univoche testimonianze raccolte in udienza a nulla è valsa la negazione dei fatti tentata, sia dalla Cooperativa che dalla Casa di Riposo.

«Deve quindi ritenersi che la cooperativa non operasse in condizioni di reale autonomia organizzativa, non fosse provvista di  una propria organizzazione d'impresa ed i lavoratori nell'appalto non fossero effettivamente da lei diretti e non agissero alle sue dipendenze e nel suo interesse». Così, il giudice Monica Bertoncini, ha in parte motivato la decisione di condannare la Casa di Riposo al pagamento, nei confronti di U.C. delle differenze retributive maturate oltre ad interessi legali e rivalutazioni, al pagamento delle spese legali ed a riassumere in servizio la lavoratrice.

«Altro che soci, lavoratori usa-e-getta» - così Carmelo Ilardo, responsabile dell'Ufficio Vertenze della CGIL di Bergamo, descrive la situazione in cui si vengono a trovare molti lavoratori e lavoratrici che  “si associano” alle cooperative "fittizie", "spurie", "simulate", "fraudolente" dove lavoratori perdono per mesi lo stipendio con la motivazione, non provata, del calo di lavoro o senza nemmeno indicare un motivo. «Se per un dipendente di un'azienda non cooperativa vengono attivati ammortizzatori sociali o si procede a licenziarlo per giustificato motivo, per i soci di cooperativa si apre un limbo di incertezza senza fine e senza diritti. Purtroppo sono tante le cooperative che hanno tradito le ragioni e la genuinità dello scopo per cui sono sorte e pertanto vanno perseguite alla pari di altri abusi nel modo del lavoro. La cooperativa, quando non genuina, è di fatto un contenitore di precarietà. Nel caso specifico ci è sembrato un paradosso il fatto che a pagare l'accertata illegittimità dell'appalto fossero le ignare lavoratrici che prestavano la attività di assistenza ai degenti della Casa di Riposo. Come Ufficio Vertenze abbiamo chiesto, senza esito, di risolvere bonariamente la evidente situazione di ingiustizia ed è, dunque, con soddisfazione che oggi ci uniamo alla gioia, per il ritrovato posto di lavoro, di U.C.».

La Casa di Riposo, in una replica, ribadisce però la correttezza del proprio operato. Anche in relazione a quanto espresso lo scorso anno dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: «Il ricorso allo strumento dell'appalto di servizi nell'ambito di strutture o aziende ospedaliere … va valutato con particolare attenzione nelle fattispecie concrete concernenti prestazioni infermieristiche o di assistenza socio sanitaria nei reparti di cura. In tali ambiti, infatti, appare difficile riscontrare una autonomia gestionale dell'appaltatore, considerato lo strettissimo legale, sotto il profilo funzionale, tra il personale medico e il personale di assistenza, legame che riduce fortemente, fino ad annullarlo, il permanere di un reale "potere direttivo" in capo allo stesso appaltatore».

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