«Territorio ostile all'industria»
Mazzoleni: niente ripresa nel 2013

«Non abbiamo il "porcellum" noi. Qui è la base associativa a scegliere il presidente, non sono le segreterie dei partiti». Parte bene il presidente di Confindustria Bergamo Carlo Mazzoleni che dice di volersi togliere qualche sassolino dalle scarpe.

«Non abbiamo il "porcellum" noi. Qui è la base associativa a scegliere il presidente, non sono le segreterie dei partiti». Parte bene il presidente di Confindustria Bergamo Carlo Mazzoleni che, a pochi mesi dalla conclusione del suo mandato quadriennale (l'assemblea che dovrà eleggere il successore si terrà il 7 giugno), dice di volersi togliere qualche sassolino dalle scarpe.

Detto fatto. Bellicoso quanto basta, ne ha per tutti, dal governo ai partiti, dalla Regione ai Comuni, tanto da permettersi di ignorare l'avversario storico, il sindacato. Dà persino una strigliata alle aziende associate che non capiscono che il loro sistema di finanziamento non può più basarsi solo sul credito bancario.

Presidente, si è messa in moto la macchina per la sua successione?
«I saggi - i past president Alberto Barcella e Andrea Moltrasio e la past president della Piccola industria Rita Melocchi - si insedieranno il 25 febbraio e poi inizieranno a consultare la base associativa».

Chi sarà il successore? Uno dei suoi vice?
«Se guardiamo al passato sì, ma non è una regola. Sono comunque sicuro che il mio successore sarà più capace e bravo di me, abbiamo davvero tante persone di qualità. Da questo punto di vista sono assolutamente tranquillo. Anche perché da noi decide la base, non c'è il "porcellum". E prevediamo un solo mandato, il presidente non è rieleggibile, e quindi il ricambio è garantito. Non succede né in politica e neppure in altre associazioni di categoria... Lei è un battistiano, nel senso di fan di Lucio Battisti?».

Non più di tanto. Perché?
«Si ricorderà comunque la canzone sulle discese ardite e le risalite. Ecco. In politica ci vorrebbe un rinnovamento, e invece osservo ancora un riciclaggio di persone di lungo corso».

Però ci sono anche alcune facce nuove, e tra queste qualche imprenditore.
«C'è sicuramente qualche elemento di rinnovamento ma bisogna sperare che le competenze e le professionalità delle persone provenienti dalla società civile riescano a trovare gli spazi necessari per riuscire ad esprimersi, perché in passato abbiamo visto personalità eminenti e di grandi capacità essere intrappolate in una specie di tela di ragno da parte della politica romana e lombarda. Il rischio è che diventino solo uno specchietto per le allodole».

Anche Alberto Bombassei corre questo rischio?
«Bombassei ha una statura tale che per lui il rischio è certo minore».

Bombassei, in un'intervista a «L'Eco», ha lamentato un certo distacco di Confindustria nei confronti del progetto riformista di Mario Monti.
«A tal proposito Confindustria sta preparando un documento nazionale che discuteremo nel direttivo del 22 gennaio e nella giunta esecutiva del 23. Confindustria non sostiene aprioristicamente una lista ma vede con favore chi appoggia le sue proposte. E anche Confindustria Lombardia sta elaborando un documento che sarà consegnato ai candidati per la Regione».

Lei che cosa chiederebbe al nuovo presidente della Regione?
«Soprattutto un'attenzione al marketing territoriale. Perché la Lombardia è una delle regioni più ricche d'Italia e d'Europa ma non è esente da rischi di deindustrializzazione. Il nostro territorio sta soffrendo una competizione territoriale sempre più marcata da parte non solo di Paesi "esotici" ma anche di regioni molto vicine come - le ha citate proprio Bombassei nell'intervista a "L'Eco" - la Carinzia e il Canton Ticino. E io aggiungo anche il Piemonte e il Friuli-Venezia Giulia che sicuramente offrono delle interessanti condizioni per gli insediamenti produttivi».

La Lombardia deve fare altrettanto, dunque.
«Non solo la Regione. Anche i sindaci bergamaschi dovrebbero prestare maggiore attenzione a questo tema. E invece in questi anni abbiamo assistito a un'esplosione della fiscalità locale. In parte, d'accordo, dovuta alla riduzione dei trasferimenti statali, ma in parte dovuta alla volontà di fare quadrare il bilancio a spese delle imprese. Prendiamo l'Imu: sono pochissimi i Comuni bergamaschi che non hanno applicato l'aliquota massima per le attività produttive. La stessa cosa si sta ripetendo adesso per la Tares, la nuova tassa sui rifiuti. E anche i Pgt non sono favorevoli all'industria».

Quindi il nostro territorio risulta poco attrattivo per le imprese che volessero insediarvisi.
«A renderlo attrattivo devono essere la Regione, i Comuni e il governo centrale, al quale noi nelle prossime settimane, a seguito dell'incontro avuto a fine novembre a Bergamo con il ministro Passera, avanzeremo una proposta nella direzione di dare grossi incentivi alle start-up. Il problema non è solo quello di attirare nuove imprese ma persino di mantenere quelle già presenti. Alcune stanno già scappando in altre aree. Tutti adesso dicono che la priorità è la crescita, ma alla fine ad occuparcene seriamente siamo solo noi. La politica mi sembra interessata a tutt'altro, e lo stesso governo Monti è stato deludente su questo fronte. Tutti promettono la riduzione delle tasse, però mi dovrebbero spiegare come faranno a diminuirle. E non c'è nessuno che parli dell'unica cosa indispensabile e indifferibile per ridurre le tasse e cioè tagliare le spese improduttive e riorganizzare la macchina dello Stato».

A proposito, è realistico, a suo parere, pensare che la Lombardia riesca a trattenere il 75% delle tasse?
«Astraendomi da un discorso politico, non è del tutto irrealistico se pensiamo che il Veneto è al 72% mentre la Lombardia è al 66%. Ma, al di là del "quantum", il nodo centrale è come vengono utilizzati i soldi. Se i trasferimenti fossero fatti in una logica di uno sviluppo delle regioni, sarebbero un vero investimento e non una spesa. In passato però, in non pochi casi, sono stati uno spreco di risorse».

Oltre al marketing territoriale, avrebbe qualche altra istanza da avanzare al futuro presidente della Regione?
«Sì, una riforma drastica del sistema delle doti che in questi anni ha dimostrato di non funzionare assolutamente, permettendo solo a qualche società di formazione di dubbia capacità di arricchirsi, a fronte di scarsissimi se non nulli risultati sul piano della riqualificazione delle persone e della creazione di nuovi posti di lavoro. Non ha proprio avuto senso dire al singolo: ti do mille euro, vai a fare un corso. La formazione è una cosa seria».

E come andrebbe gestita, allora?
«Valutando in primis la domanda che arriva dal territorio in funzione delle persone da riqualificare. Prendiamo il caso Honegger. Qui noi stiamo lavorando proprio in questa direzione: esaminiamo il bacino di utenza in un raggio d'azione di circa 30 minuti di tempo impiegato dai mezzi pubblici di trasporto, e valutiamo la domanda espressa dal territorio in materia di professionalità e competenza: partendo da qui, andiamo a costruire percorsi mirati di formazione».

Ci sarà la ripresa nel 2013?
«Non credo. Ma anche se ci sarà nella seconda parte dell'anno, temo che sarà flebile e non avrà effetti positivi sull'occupazione».

Pierluigi Saurgnani

© RIPRODUZIONE RISERVATA