Alta qualità e filiera made in Italy
La camiceria punta sull'export

«Se vogliamo avere successo sui mercati internazionali occorre valorizzare la nostra filiera e spingere su qualità e made in Italy». Silvio Albini, presidente del Cotonificio Albini, parla così ai gruppi della Camiceria e Tessuti per camiceria dello Smi.

«Se vogliamo avere successo sui mercati internazionali occorre valorizzare la nostra filiera e spingere sulla qualità e sul made in Italy». Silvio Albini, presidente del Cotonificio Albini, fa il punto sul mercato all'incontro che si è svolto mercoledì nella sua azienda tra i gruppi della Camiceria e Tessuti per camiceria del Sistema Moda Italia (Smi).

Molti gli imprenditori intervenuti che solitamente partecipano a questa riunione a Milano Unica e che quest'anno è stata pensata sul territorio orobico. Motivo dell'incontro capire come il mercato si sta evolvendo, ragionando sulla valorizzazione della filiera. Partendo dai numeri: sono 30 milioni le camicie - uomo e donna - vendute in Italia (cifra in discesa), mentre l'export della camiceria maschile cresce in extra-Ue (gennaio-ottobre 2012 +6,6%) con un +21,9% in Russia, +27% in Cina e +47,1% in Giappone, mentre l'export europeo si attesta a -4,3%. «Un certo tipo di mercato, quello orientale e americano di alta fascia, richiede i valori del made in Italy - commenta Albini -. Dobbiamo quindi valorizzare la filiera, i nostri tessuti e accessori, arrivando fino alla confezione. L'italianità è uno sbocco sull'export molto importante, un'opportunità».

Numerosi, tra l'altro, i brand internazionali che cercano la «filiera certificata» e quel «made in Italy» molto ambito «ma ancora non regolamentato a livello europeo», anche se c'è l'altra faccia della medaglia da non dimenticare: «Le aziende che confezionano in Italia sono pochissime - dice Paolo Valoti della V&V Italiana Style di Alzano Lombardo, noto per il suo marchio Sonrisa - e a una certa fetta di mercato il "made in" interessa relativamente: è il prezzo e la competitività che fanno la differenza». Tanto che Daniele Ghilardi della Agatex di Calcinate evidenzia: «Punto all'export e ho esternalizzato la produzione. Il prodotto vincente si fa con la competitività, l'inventiva, l'elasticità nell'offerta, ma con rigore e precisione». 

Giovedì si è parlato anche di come manchi una manodopera istruita sul tessile, con «troppe e troppo piccole aziende italiane nel settore», con un «approccio culturale che ha sottostimato l'importanza dei mercati esteri». Ma da Albini viene un'iniezione di fiducia: «Sono moderatamente positivo se abbiamo il mondo come palcoscenico». Perché a vendere sono «l'alta qualità e la creatività italiana» sottolinea ancora Albini. Con Antonio Gavazzeni, referente sezione Camiceria in Smi, bergamasco e amministratore delegato della Cit Spa di Arcore e del marchio Bagutta, che commenta: «È il momento di "riqualificare la qualità": in passato, pur di essere competitivi, abbiamo abbassato i livelli. Ora il lusso spinge, così come il mercato low cost: è nel settore che sta "in mezzo" che dobbiamo estenderci». Per entrare sempre di più in Corea, Giappone, Usa e Brasile. Ma soprattutto in Cina: «Prima lo consideravamo concorrente nella produzione - conclude Gavazzeni - ora è un'opportunità commerciale».

Fabiana Tinaglia

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