Boom di dimissioni volontarie: ha inciso l’«effetto pandemia»

I dati Nel 2021 un milione ha lasciato in Italia Razzino: «Il Covid influenza le scelte, ma a Bergamo la maggioranza è tornata sul mercato per migliorare».

Nei primi nove mesi 2021 il mercato del lavoro italiano ha assistito a un aumento inatteso delle persone che hanno lasciato volontariamente il lavoro, dimettendosi. Secondo le stime della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro sui dati delle «Comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali», 1 milione e 81 mila lavoratori in tutta Italia si sono dimessi volontariamente e per cause diverse dal pensionamento . Ciò che pesa è la crescita di questo dato rispetto al 2019, il 13,8% in più.

1 milione e 81 mila lavoratori in tutta Italia si sono dimessi volontariamente

Parallelamente l’Aidp, ovvero l’Associazione per la direzione del personale, ha reso noti i dati di una recente indagine in cui analizza la situazione su un campione di 600 aziende su tutto il territorio nazionale. Ne emerge che il 60% delle aziende è coinvolta dal fenomeno delle dimissioni volontarie e nella maggior parte dei casi, il 75%, ne sono state colte di sorpresa rispetto ad una tendenza inattesa . Per quanto riguarda i dipendenti che presentano le dimissioni, le fasce d’età maggiormente coinvolte sono quelle fra i 26-35enni, seguita dalla fascia 36-45 anni. Si tratta, conclude la ricerca, di un fenomeno giovanile collocato soprattutto nelle mansioni impiegatizie (l’82%) e residenti nelle regioni del Nord Italia, (il 79%) .

Marcello Razzino , presidente dell’Ordine Consulenti del lavoro di Bergamo spiega : «Già ad ottobre e novembre scorso ci cominciavamo a chiedere il perché di questo fenomeno, sicuramente condizionato da molti fattori, ma che la pandemia ha influenzato molto. Soprattutto per ciò che riguarda la Bergamasca , però, possiamo dire che non si tratta di dimissioni per smettere di lavorare quanto più di persone che si reimpiegano in un mercato del lavoro che ha ricominciato ad essere molto attivo ». Sempre la ricerca della Fondazione studi dei Consulenti del lavoro evidenzia: «Il fenomeno è iniziato già prima della pandemia, quando tra 2017 e 2019 si era avuta una crescita significativa, poi interrottasi con l’emergenza» e sottolinea come non è da escludere «l’esistenza di una componente riconducibile a quello che negli Stati Uniti è stata definita Yolo Economy, una sorta di “carpe diem” generato dalla riscoperta del “si vive una volta sola”, un fenomeno emergente tra i giovani, dietro cui prendono forma dinamiche come la scoperta di un nuovo equilibrio possibile tra lavoro e vita privata, derivata dall’esperienza dello smart working, o il rifiuto di un mercato del lavoro povero, a bassa retribuzione e precario».

« La pandemia ha dato al tempo un valore diverso e ha tolto il confronto con gli altri»

«Donne ancora penalizzate»

Su questa situazione i sindacati offrono una visione ancora più centrata sulle motivazioni che, almeno in Bergamasca, possono essere parte del fenomeno. Francesco Corna segretario generale di Cisl Bergamo commenta: «Occorre capire quante di queste figure impiegatizie che lasciano il lavoro sono uomini e quante donne. Oggi, soprattutto una giovane donna, che corrisponde per età e mansione al target individuato dalla ricerca, guarda al lavoro nella sua totalità e nella nostra provincia esiste ancora un grave problema di rigidità organizzativa che influenza queste scelte legate alla conciliazione con i tempi familiari ».

Si riesce a percepire il malessere del non sentirsi riconosciuti rispetto alle proprie capacità - spiega Angelo Nozza, segretario generale Uil Bergamo , - Esisteva anche prima, ma la pandemia ha dato al tempo un valore diverso e ha tolto il confronto con gli altri . Lo si vede a mio avviso anche nel fenomeno delle dimissioni di massa che interessa l’industria e che muove diverse figure professionali da un’azienda a un’altra in cerca di condizioni migliori».

Gianni Peracchi, segretario generale Cgil Bergamo analizza comunque il dato positivamente: «Il fenomeno c’è e corrisponde in larga misura ad un’apertura del mercato del lavoro che ha ripreso dopo un lungo fermo e in Bergamasca ci risultano pochi i casi di rinuncia definitiva al lavoro, quanto di cambiamento e passaggio da una realtà a un’altra ».

© RIPRODUZIONE RISERVATA