Adesso la squadra
non ha più alibi

Alla fine il calcio è semplice. Molto più delle mille dietrologie che si scatenano sul web. Tizio che litiga con Caio che poi si vendica con Sempronio. No: Stefano Colantuono è stato esonerato perché, nonostante un mercato di gennaio con i fiocchi, l’Atalanta continua a zoppicare.

Di più: l’Atalanta dà pochi - pochissimi - segni di vitalità. Al punto da farsi continuamente rimontare in campo e scavalcare in classifica. Adesso che l’orlo del baratro è pericolosamente vicino, la società tenta anche questa: il colpo di reni che magari ti sbilancia un po’, ma almeno non ti fa volare di sotto.

Adesso però va detto chiaro: questi giocatori, che valgono più delle avversarie con le quali si contenderanno la salvezza, non hanno più alibi. Nessun alibi. Ci sono stati infortuni a raffica e la società c’ha messo la pezza. Ci sono bomber in crisi e la società ha investito e posto rimedio. C’era un allenatore che forse aveva esaurito il suo ciclo e l’hanno cambiato - facendogli pagare certamente anche colpe non sue, ma nel calcio va così - nonostante un contratto ancora lungo e assai oneroso, prendendo il più esperto in circolazione.

Alibi non ce ne sono più. Non ci sarà più, da domenica, l’allenatore che si prende le risatine di tutti parlando di partita perfetta quando anche la Maresana vedeva che perfetta proprio non era stata. Adesso c’è da far vedere se questa squadra, che ha valori tecnici fuori discussione, ha anche carattere, unità d’intenti, capacità di essere un gruppo che rema dalla stessa parte, un’orchestra che suona e non un insieme di solisti a volte un po’ stonati.

Tutto questo serve perché l’Atalanta deve restare in serie A. La mossa della società denuncia una paura che non può che essere salutare: si prende atto che non è scontato che ci si salvi. Quando si accetta la «malattia» si fa il primo passo per la cura. È illudendosi di essere sani come pesci che ci si scopre, una mattina all’improvviso, nei guai fino al collo.

Spiace, per Colantuono. Non c’è nemmeno bisogno di celebrare troppo il suo rendimento: i numeri parlano e i numeri non si discutono. Non sempre simpatico, a volte in overdose da adrenalina fino a sembrare spaccone. Ma due volte su due ha portato in serie A l’Atalanta e quattro volte su quattro l’ha salvata. Con record di punti e tante imprese memorabili. Offuscate forse da quel carattere elettrico, dalla cronica incapacità di concedersi un sorriso in più. Ma ci sono state e passano alla storia. Spiace per Colantuono, si diceva. Ma adesso era l’unica e l’ultima cosa che si poteva fare per raddrizzare una barca sempre più inclinata. Scelta dolorosa, si suol dire. Certamente lo sarà stata. Ma sarebbe stato più doloroso retrocedere e dissestare i conti.

Buon lavoro dunque a Edy Reja, che arriva a Bergamo - non è nemmeno un retroscena, tant’è palese - sotto l’ombrello di Pierpaolo Marino. Il quale, va detto, si è ripreso ormai da mesi una centralità assoluta nel panorama societario. Pareva messo in disparte dall’arrivo di Giovanni Sartori, nell’estate 2014. Ma non è tipo da farsi impressionare, e con tanta pazienza e un’infinita capacità di muoversi senza dare nell’occhio si è ripreso il centro della scena, portando anche un «suo» allenatore. Restano 13 partite per la cura. Guarisci alla svelta, Atalanta.
Roberto Belingheri

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