Anime del Pd
Separate in casa

Non è dato sapere se davvero il Partito Democratico sia arrivato sull’ orlo di una scissione: tra la maggioranza renziana e l’ opposizione di Pierluigi Bersani e Massimo D’ Alema, i conti veri si faranno solo all’ indomani del referendum, quando si conteranno i voti favorevoli e contrari alle riforme costituzionali.

Ma quel che risulta evidente, anzi sempre più evidente negli ultimi tempi, è che i due gruppi hanno ormai assai poco da dirsi, ormai, e quella che era una convivenza forzata risalente alla stessa nascita del Partito democratico la fusione «a freddo» tra gli ex diessini e gli ex margheritini, che poi vuol dire ex comunisti ed ex democristiani, voluta da Walter Veltroni) sia arrivata al punto di rottura, come quelle coppie che non riescono a dirsi addio ma vivono in stanze separate della stessa casa. Il famoso grido «Fuori! Fuori!» che si è ascoltato alla Leopolda, scagliato dagli ultra renziani contro i D’ Alema e i Bersani, più che un proposito politico, è sembrata una condanna antropologica.

Insomma, per dirla chiaro: non si sono mai amati ma adesso proprio non si sopportano più. È per questo che l’ edizione 2016, la numero sette, del raduno fiorentino di Matteo Renzi ha segnato un punto di svolta: i separati in casa della coppia scoppiata potrebbero dirsi addio anche se magari da una parte e dall’ altra non c’ è vera volontà di andare per strade diverse, anzi c’ è il timore per una scelta che potrebbe rivelarsi un salto nel buio. Del resto, quante volte Bersani ha lanciato al segretario-premier dei penultimatum che si sono risolti in nulla? E anche Renzi tante volte ha insultato i suoi avversari nei discorsi dal palco ma poi ha fatto di tutto per tenerseli dentro come ha fatto ora con l’ Italicum dove la maggioranza ha accolto tutte, ma proprio tutte, le richieste della minoranza e nonostante questo a Bersani non è andata bene lo stesso.

Ci ha rimesso la faccia, rimanendoci nel mezzo, il mite Cuperlo il quale in un primo momento si è ben contentato delle aperture della maggioranza e ha firmato l’ accordo, salvo poi accorgersi che alle sue spalle i suoi «rappresentati» avrebbero detto «non mi piace» anche di fronte ad un giuramento dal notaio. «Carta straccia, vale niente» ha bofonchiato Bersani tormentando come al solito il sigaro. La realtà è che la minoranza ormai si è convinta che deve tenere il punto sul no al referendum non tanto perché la riforma non piace (quelli della sinistra l’ hanno votata compattamente alla Camera e al Senato anche dopo che era stato approvato l’ Italicum) quanto perché se Renzi perde il referendum, per loro si riapre una strada. Una rivincita, diciamolo chiaro: gli ex comunisti non hanno mai mandato giù la vittoria di Renzi alle primarie, e non vedono l’ ora di cogliere l’ occasione giusta per rimandarlo a Firenze.Cosa che naturalmente Renzi non farà mai, sia che vinca sia che perda: può cadere il governo, ma i renziani resteranno saldamente arroccati al partito fino al prossimo congresso.

Il punto è che questo Pd, così dilaniato dalle lotte interne, sta perdendo voti - le amministrative sono state una prova eloquentissima - e potrebbe alle prossime elezioni cedere il passo ai grillini. I quali certo hanno i loro problemi (la disastrosa gestione dei comuni che hanno conquistato, a cominciare da Roma) ma sono ancora assai minacciosi. Da questo punto di vista, è importante proprio la legge elettorale: l’ Italicum favorisce il M5S e Renzi si è convinto che è saggio cambiarlo, eppure ai bersaniani non va bene. Ed è facile intuire perché: il nemico del mio nemico - recita un vecchio adagio - è mio amico.

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