Banche chi paga
i possibili default

Si è in questi giorni riaperto in Italia il dibattito socio mediatico sulla necessità di una revisione della direttiva che ha disciplinato le modalità d’intervento nel caso di default delle banche. L’aspetto su cui si sta prevalentemente concentrando la discussione è legato all’esigenza di fornire maggiore tutela ai risparmiatori. Per comprendere meglio come stanno le cose è necessario partire dall’esame dell’attuale disciplina della vigilanza bancaria in Europa. Dal novembre 2014 è stato costituito un «meccanismo di vigilanza unico» per le banche europee di rilevanza sistemica (150 di cui 5 italiane), presieduto dalla Bce e dalle autorità di vigilanza degli Stati membri. Suo principale obiettivo è garantire la solidità del settore bancario, assicurando il rispetto delle regole e dei principi fissati, individuando preventivamente carenze e rischi, in modo da evitare minacce alla stabilità delle singole banche e al sistema finanziario europeo nel suo complesso.

Se, nonostante i controlli di vigilanza, si determinassero condizioni di default è stato stabilito - con una direttiva entrata in vigore dal 1° gennaio 2016, il cosiddetto «Bail-in» (salvataggio dall’interno) - che le fonti di salvataggio dovranno essere quasi esclusivamente interne alle banche, per limitare il più possibile gli interventi degli Stati. Per assorbire le perdite determinate si deve partire dagli azionisti, in seguito rivalersi sugli obbligazionisti e, nel caso vi fosse ancora la necessità, si arriverebbe ai depositi superiori a 100.000 euro, essendo solo questi ultimi totalmente garantiti. Proprio con riferimento a possibili azioni ritorsive sui risparmi privati sono state riservate le critiche maggiori alla direttiva, in quanto con la nuova normativa viene meno la tutela riconosciuta a tutti i risparmiatori dalle norme costituzionali di vari Paesi europei, perché fornitori alla banca dei mezzi necessari per svolgere la propria attività. Non si comprende, infatti, perché questa tutela debba essere riservata solo ai depositi entro 100.000 euro e debba venir meno per quelli di entità superiore, che certamente hanno offerto un sostegno maggiore all’attività della banca. Sorprende, peraltro, come mai questa direttiva sia stata recepita in tempi così brevi dal Parlamento, senza gli opportuni approfondimenti. Lo stesso mondo bancario si è reso conto delle implicazioni negative delle nuove disposizioni solo in un secondo momento, intuendo che le banche sarebbero andate incontro a possibili difficoltà nel far sottoscrivere obbligazioni proprie e nel raccogliere depositi oltre l’ammontare garantito.

Sul dibattito in corso è intervenuto il ministro per i Rapporti con l’Ue Paolo Savona, secondo cui la Bce, essendo preposta al controllo preventivo delle banche europee ed avendo strutture e mezzi adeguati per prevenire qualunque tipologia di rischio, dovrebbe conseguentemente assumersi anche l’onere di far fronte agli eventuali default bancari con interventi di vario tipo evitando, in ogni caso, conseguenze negative per i risparmiatori. Tale posizione non è stata ancora presa in considerazione dalla Bce, anche perché l’orientamento della Commissione europea, rimarcato in più occasione, è di totale allineamento con la direttiva in vigore, che si prefigge di non far cadere sui cittadini, attraverso interventi pubblici, le conseguenze dei fallimenti bancari. Non si può escludere, però, che su questo tema si debba ritornare, perché proprio da una soluzione ampiamente condivisa dei problemi legati al fallimento delle banche dipenderà il compimento dell’unione bancaria europea.

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