Capolavoro di Renzi
È tornata la politica

Scacco matto all’ora di pranzo. Giocando la partita da politico navigato senza disdegnare qualche regola del poker, Matteo Renzi ha steso il tappeto rosso davanti a Sergio Mattarella, destinazione Quirinale. Tutto come previsto, un’elezione a orologeria.

A dimostrazione che dopo due anni di sbandamento, anche per paura del Paese reale che ha finito la pazienza nelle stanze parlamentari è ricomparsa la politica, vale a dire l’arte del possibile. Come caotica e impresentabile era stata la tornata del 2013 con la richiesta in ginocchio a Napolitano di reinventarsi sul Colle a 88 anni, così lineare e inattaccabile si è rivelata questa elezione che incorona capo dello Stato un uomo solido e taciturno, pilastro istituzionale di lungo corso, in grado di rispettare e far rispettare le regole democratiche così da essere «presidente di tutti». Questo storicamente si chiede all’inquilino del Quirinale, non certo l’allure della primadonna o la verve di un prezzemolo da talk show.

Scacco matto all’ora di pranzo sottolineato anche dalle stelle, se è vero che l’anagramma di Sergio Mattarella è «Matteo si rallegra» e il Pd improvvisamente si ricompatta, si trasforma in una disciplinata scolaresca capace di trascinare l’ala sinistra e gli alleati di governo verso la soluzione prefigurata dal premier. Tutto ciò nonostante il mal di pancia di Berlusconi, che avrebbe preferito Giuliano Amato ma non ha osato alzare i toni della polemica per non ritrovarsi a dover digerire il suo arcinemico Romano Prodi eletto fra un giorno o due con i voti grillini.

Sergio Mattarella sale al Colle in punta di piedi e in Panda. Fino a una settimana fa era confinato nel limbo della Corte costituzionale, ma già ieri – in perfetto italico stile – spuntavano le prime agiografie. Prudente, mai sopra le righe, ha sempre militato a sinistra della Democrazia cristiana (poi nel Partito popolare e nella Margherita), abbracciando i valori del cattolicesimo sociale e imparando l’arte del compromesso dal suo inventore, Aldo Moro. Anche se in questa tornata la frase più morotea va attribuita a Silvio Berlusconi che annunciando l’astensione (solo ufficiale) dei suoi l’ha definita «una scheda bianca non ostile», più o meno come le convergenze parallele.

Tornando al nuovo presidente, l’understatement come cifra di vita gli deriva dal carattere da siciliano schivo e dal dolore che segnò il suo esordio in politica. È tutto in una foto, scattata il giorno dell’Epifania del 1980 a Palermo. Sergio Mattarella regge fra le braccia il fratello Piersanti, presidente regionale colpito a morte da un sicario della mafia. Il sangue gli bagna il pullover e gli entra nell’anima. Quegli otto proiettili sembrano svegliarlo e indicargli la strada. Da quel giorno non sarà più un semplice docente di Diritto pubblico. Da quel giorno sorriderà poco. Da quel giorno la politica – per capire e aiutare a cambiare le cose – sarà il suo destino.

Di sicuro si sa che si dimise per protesta quando il governo Andreotti varò la legge Mammì che dava via libera alle televisioni di Berlusconi. Di sicuro si sa che diede il suo nome alla vecchia legge elettorale (il Mattarellum) poi superata da quello sgangherato accrocchio, inventato da Calderoli con la fattiva collaborazione di Scalfaro, di nome Porcellum. Di sicuro si sa (ma in queste ore non si dice) che lui siciliano fu candidato in Trentino all’interno della strategia della rottamazione renziana. Ma in politica nulla è per sempre e un signore avviato a un sereno tramonto può orgogliosamente andare a tavola un sabato di gennaio da presidente della Repubblica.

La vittoria di Renzi è eclatante, il ragazzo sta imparando le regole del gioco. Qualcuno sostiene già che Mattarella è perfetto per non fargli ombra e per aiutarlo, con la sua timida cortesia, a spostare definitivamente l’asse del potere dal Quirinale a palazzo Chigi. Ma a costoro vorremmo ricordare che anche Cossiga stette in silenzio cinque anni e poi cominciò a picconare. E Napolitano, quando si accorse che la classe politica era inconsistente, non esitò a prendere le redini della diligenza. Il resto è nel destino di un Paese nervoso e chiassoso, difficile da governare, ma che avverte i primi refoli di una ripresa. Oggi l’Italia ha bisogno di tutti, di un presidente di garanzia, di un premier che corre e di forze capaci di mettere l’interesse comune davanti ai sondaggi elettorali. Quanto al patto del Nazareno, come suggerisce la parola stessa, risorgerà.

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