Carissimo mozzicone
la legge non basta

Dal due febbraio gettare un mozzicone di sigaretta per terra può costare da 30 a 300 euro di multa. Lo prevede la legge sulla cosiddetta «Green economy» ormai inserita nella Gazzetta Ufficiale. E così il pensiero corre alle mille scene quotidiane. Chi aspetta il treno aspira il fumo dell’ultima sigaretta e, prima di salire, ecco il gesto qualificante. Un mozzicone tira l’altro e la sede dei binari diventa l’ultima dimora del rifiuto.

Bottiglie di plastica, carte, non solo sigarette convergono verso la terra di nessuno del luogo pubblico. Svincoli stradali, ma anche strade poco trafficate diventano accumuli diffusi di sporcizia. Fossimo a Singapore ci sarebbe l’arresto immediato. Ma lì hanno avuto un autocrate. E del resto non vale la scusa che, siccome noi siamo una democrazia, facciamo quel che ci pare. Tutti i Paesi a nord delle Alpi sono democrazie e lì il decoro pubblico c’è. Dicono che con l’arrivo dei migranti irregolari si registri un aumento di immondizie sparse per terra. Può essere, ma di certo questo non avviene per esempio in Germania o in Svizzera dove il numero dei richiedenti asilo è cresciuto in modo esponenziale. Ed il motivo è semplice: non hanno visto nessuno che faceva così e si sono quindi comportati di conseguenza.

Il profugo, l’estraneo alla cultura del posto, cerca di uniformare il proprio comportamento ai costumi locali, lo fa per non balzare all’occhio, un modo come un altro per cercare di essere ben accetto. Ma se la legge è irrisa dagli stessi abitanti è chiaro il messaggio: qui si fa come da noi, nei Paesi del cosiddetto terzo mondo, dove il rifiuto è di casa ovunque. No, l’emergenza rifiuti, il decoro urbanistico e ambientale, il senso civico è solo ed esclusivamente una questione nazionale. E non solo per i casi eclatanti di Napoli, Roma, Palermo, ma per l’indifferenza che si riserva alla violazione dell’etica civile. Nessuno osa intervenire, come fa la vecchietta londinese che alza l’ombrello in segno di disapprovazione al pedone che passa col rosso. E se per caso accade che qualcuno osi imitarla, la risposta è inequivocabile: pensi agli affari suoi. Che è poi lo stigma di una società dove la solidarietà scatta solo nell’emergenza, quando la catastrofe rende tutti eguali e all’etica civile si sostituisce la pietà umana. È il destino di chi svincola l’interesse personale dal bene pubblico. Le nuove disposizioni vanno bene ma per trovare applicazione devono essere percepite come una necessità.

C’è un piccolo miracolo nell’Italia del disincanto generale: il divieto di non fumare in luoghi pubblici viene osservato. Chi avrebbe mai detto che il fumatore sarebbe uscito dal locale senza protestare. Certo poi resta il mozzicone per terra. Ma il primo passo è compiuto. La legge da sola non basta se non coincide col sentire sociale. E occorre uscire anche dall’illusione che basti il testo scritto. C’è troppa enfasi sul dispositivo legislativo. La legge da sola non basta per fare una riforma. Ed è il motivo per il quale l’Italia ha il triplo delle leggi della Germania ma un indice di applicazione decisamente inferiore.

Le norme vanno ad incidere nel corpo vivo dei comportamenti quotidiani e non si può pretendere di fare di un popolo di anarco-individualisti abituati a dar sfogo in modo spontaneo alle proprie pulsioni istintuali un esercito di rappresentanti del politicamente corretto. Va fatta un’opera di preparazione, di convinzione. Un’azione a livello locale che parta dai comuni, dalle circoscrizioni in primo luogo. Una campagna che miri a fare del proprio territorio l’orgoglio dei suoi abitanti. Un obiettivo possibile, Milano è un esempio. Anche per il piccolo comune.

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