Contro la droga
servono valori

Serve o non serve chiudere una discoteca come il Cocoricò di Riccione, dove il 19 luglio scorso un ragazzo di 16 anni è morto per un’overdose di ecstasy? Sembra che il dibattito su giovani e droga ormai si restringa su questa misura drastica e mediaticamente di grande effetto.

In realtà come hanno fatto capire anche da San Patrignano, cioè da un luogo dove si combatte contro la droga da oltre 30 anni e dove nessuno è mai stato preso da tentazioni antiproibizioniste, la misura non serve a molto. Anzi, come ha scritto ieri il coordinatore di Sanpa Antonio Tinelli, finisce con il punire una delle discoteche che più apertamente ha mostrato il suo impegno. Il 26 giugno scorso, giornata mondiale contro le droghe, lo staff del Cocoricò aveva chiesto di poter partecipare all’iniziativa lanciata dalla grande comunità fondata da Vincenzo Muccioli.

Misure come il Daspo per quattro mesi in realtà son misure preventive non per proteggere i ragazzi ma per evitare di essere travolti da polemiche nel caso del ripetersi di altri casi, con l’estate alle porte. In realtà quella misura dimostra ancora di più un altro fatto: che sulla questione droga il mondo adulto è sempre in ritardo nella conoscenza del fenomeno e si trova ad inseguire i suoi giovani senza mai avere la percezione chiara di cosa stia accadendo. Ogni anno si riversano sul mercato sostanze sempre nuove che attraggono giovani e giovanissimi: «Escono sostanze legali che la gente compra. Vengono vietate e poi però ne escono delle altre nuove. È un fenomeno circolare che si rincorre», ha spiegato uno dei maggiori esperti, Riccardo Gatti, direttore del dipartimento Dipendenze patologiche della Asl di Milano: «Adesso, stanno aumentando i giovani che si accostano a un uso più frequente di droghe da discoteca, come le metanfetamine, ma non solo».

Ma la vera domanda a cui il mondo adulto non sa rispondere è perché un ragazzo oggi debba mettere a repentaglio la propria vita per uno sballo. Se guardiamo al profilo di Lamberto Lucaccioni, il ragazzo morto al Cocoricò, si resta attoniti. Un bravo ragazzo, figlio unico di un farmacista di Città di Castello, che il papà ha definito «affettuoso, altruista, sensibile». Un bravo ragazzo finito nella trappola senza aver probabilmente la minima percezione del rischio che correva. Evidentemente se si vuol davvero parlare di prevenzione, la prima cosa cosa è quella di informare, di dire le cose come stanno, di far parlare quelli che nella trappola sono caduti e ne sono usciti, come hanno fatto ieri i ragazzi della comunità Aga proprio su queste colonne. E allora perché un giovane sente il bisogno di sperimentare queste situazioni estreme? Evidentemente non è più per un malessere esistenziale, per una insofferenza verso modelli di vita in cui non ci si riconosce, come era avvenuto per tante generazioni precedenti. Oggi un giovane sceglie il rischio quasi per inerzia, perché davanti a sé non ha altre motivazioni interessanti e stimolanti.

Forse la vera questione della nostra società è che non si dà credito ai giovani. Pochi giorni fa a Milano, 200 ragazzi provenienti da tutt’Italia, un gruppo veniva anche da Bergamo, hanno dato vita ad uno spettacolo collettivo impressionante, guidati da un regista, Marco Martinelli. Vedere l’impegno e la convinzione con cui, nel fossato del Castello Sforzesco, hanno messo in scena questa «Eresia della felicità» su testi di Euripide, Verne e Majakovskij, era cosa che impressionava. Forse più che chiudere il Cocoricò bisognerebbe favorire e far conoscere fenomeni come questi. Si capirebbe che i giovani sono pronti ad altro, se qualcuno gliene offre l’opportunità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA