Debito pubblico
re Matteo è nudo

«I vestiti nuovi dell’imperatore» è una bellissima fiaba. La riassumiamo per chi non la ricorda. Il sovrano viene raggirato da due truffatori che gli fanno credere di essere dei sarti e di avere un tessuto meraviglioso, che solo gli stolti non riescono a vedere. In realtà i vestiti non esistono e l’imperatore se ne va in giro nudo.

Nessuno però ha il coraggio di dirglielo . La finzione dura finché, un giorno, un bambino, vedendo sfilare il sovrano, grida: «Il re è nudo». Le vicende del debito pubblico di un Paese sono un po’ come la fiaba di Andersen. Investitori, economisti, politici fanno spesso finta che il debito pubblico di un Paese possa essere rimborsato. Sanno che non è così, ma come l’imperatore e i suoi cortigiani preferiscono credere a tale finzione, piuttosto che affrontare le conseguenze della cruda verità. I termini del problema sono semplici. Un indicatore della sostenibilità del debito di un Paese è il rapporto debito/Pil.

Quanto questo è più alto, quanto maggiori sono le risorse cui dovranno rinunziare i cittadini per fare fronte al debito, cioè al pagamento degli interessi e al rimborso del debito stesso. Nel caso di un individuo quelle risorse sono quanto egli risparmia; nel caso di uno Stato quel risparmio si chiama avanzo primario, quello che si ha quando le tasse sono maggiori delle spese pubbliche, quando cioè le entrate complessive superano le proprie spese. Un Paese che genera un avanzo primario subisce un effetto recessivo da parte della politica fiscale, dato che questa riduce i redditi disponibili.

Ragioniamo ora di ordini di grandezza. La Grecia ha un rapporto debito/Pil pari al 175% circa, l’Italia al 136% e il Portogallo al 131%. Per contro, la Germania è al 75% la Francia al 95% ed il Regno Unito al 92%. Non bisogna essere degli economisti per capire quanto sia difficile per i primi Paesi ridurre il proprio debito ai livelli tedeschi o francesi. Sarebbero necessari avanzi primari nell’ordine di grandezza del 4-5% del Pil. Agli attuali tassi di crescita del Pil, che negli ultimi dieci anni raramente hanno superato l’1%, ciò vorrebbe dire sottrarre ai cittadini tre o quattro volte ciò che l’economia faticosamente è stata capace di generare come maggiore reddito. Impossibile, salvo imporre sacrifici e miseria intollerabili. Nel caso della Grecia, le elezioni vinte da Syrizia sono state come il bambino della favola e tutti lo hanno sentito gridare che il re era nudo. E come nella favola tutti continuano a fare come se nulla fosse successo.

Ma è dell’Italia che dobbiamo preoccuparci, perché la situazione è tale che difficilmente riusciremo a ridurre in modo significativo il nostro debito rispetto al Pil. Si dirà che l’Italia non è la Grecia. L’algebra però non lascia dubbi. Una simulazione che ipotizza una crescita del Pil pari al 3%, un tasso d’interesse dell’1% ed un avanzo primario del 3% porta a concludere che solo fra dieci anni il nostro debito sarà a livelli analoghi a quello tedesco. Bisogna cominciare a ragionare di una ristrutturazione del debito, sia allungandone le scadenze, sia studiando soluzioni come quelle prospettate per la Grecia, dove si è ipotizzato che i titoli pubblici paghino un tasso d’interesse che vari in funzione del tasso di crescita del Pil. Insomma, quando l’economia va bene si possono pagare interessi più alti, e viceversa quando la crescita è debole o negativa. Meglio ancora sarebbe convocare una conferenza dei Paesi creditori e debitori. Lì si potrebbe negoziare un accordo per la ristrutturazione o lo stralcio di una parte del debito dei Paesi più indebitati. Una conferenza multilaterale avrebbe il pregio di minimizzare le suscettibilità dei singoli, siano essi debitori o creditori. Dal nostro punto di vista è bene affrontare il problema per tempo, prima che un bambino si accorga che anche noi giriamo senza vestiti.

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