Grande gioia e un «segno»
per la nostra comunità

È una grande gioia: l’arrivo in terra bergamasca delle spoglie mortali di San Giovanni XXIII realizza un desiderio nostro e suo. Nella lettera in cui lo manifestavo al Papa scrivevo: «Santità, i fedeli sarebbero lieti, i bergamaschi grati, i sottomontesi estasiati nel poter riabbracciare e rivedere il loro fratello, il loro amico, il “loro Papa” che, fino alla fine della sua vita, soleva ripetere “o vivo o morto tornerò a Sotto il Monte!”». Quanto grande è la gioia, altrettanto la riconoscenza per il Santo Padre, che da sempre ha manifestato la sua profonda considerazione per Papa Giovanni, fino a proclamarlo Santo all’inizio del suo Pontificato.

Si tratta di un fatto eccezionale, preceduto una sola volta quando il Cardinal Roncalli, Patriarca di Venezia, ottenne la traslazione provvisoria del corpo di San Pio X. Mentre condivido la gioia con tutta la comunità bergamasca, desidero farmi voce della nostra corale gratitudine per la comprensione generosa e l’affettuosa benevolenza di Papa Francesco nei confronti della nostra diocesi. Questi sentimenti alimentano la convinzione che il «segno» donato, rappresenterà una fonte di pace per l’intera nostra comunità e aprirà molti cuori alla speranza. L’evento della traslazione dell’urna di Papa Giovanni avviene in concomitanza con la ricorrenza del 60° anniversario dell’inizio del suo Pontificato. L’accoglienza stupita e calorosa di questa peregrinatio, anche da fuori dei confini della nostra diocesi, conferma riconosciuta capacità che il Santo Papa aveva e ha ancor oggi di parlare e toccare il cuore dell’umanità. Desidero consegnare alcuni suggerimenti che possono illuminare il significato di questo avvenimento. Innanzi tutto, il riconoscimento che la vita, l’opera e il magistero di Papa Giovanni trovano la loro sintesi universalmente condivisa nell’impegno e nel servizio alla pace. La pace come dono e bene supremo dell’umanità. La pace da edificare giorno dopo giorno, senza mai disperare della possibilità che questo anelito trovi spazio anche nei cuori più induriti o nelle situazioni che sembrano ineluttabili. La testimonianza del suo prodigarsi per il bene della pace, diventa una consegna alla quale sarebbe ingiusto e irresponsabile sottrarci, immaginando che ad altri spetti di garantirla.

Insieme alla pace, un altro dono il Santo Papa consegna, particolarmente alla Chiesa: la convinzione del bene dell’unità vissuta nel segno del Vangelo. Il percorso della sua esistenza lo porta ad incontrare le diverse Chiese cristiane, separate da secoli, e alimenta in lui la convinzione che l’unità dei cristiani è una condizione assolutamente necessaria alla loro testimonianza credibile nel mondo contemporaneo. La famosa espressione: «Ciò che ci unisce è più di ciò che ci divide» diventa un programma che supera il suo Pontificato. L’unità dei cristiani, non come espressione di forza, ma come servizio umile e generativo dell’unità dell’intero genere umano. Papa Francesco ricorda Papa Giovanni dicendo: «Egli si dimostrò efficace tessitore di relazioni e un valido promotore di unità, dentro e fuori la comunità ecclesiale, aperto al dialogo con cristiani di altre Chiese, con esponenti del mondo ebraico e musulmano e con molti altri uomini di buona volontà». Siamo spettatori e, a volte, protagonisti di lacerazioni, incomprensioni, ostilità sempre più diffuse: il cammino dell’unità tra cristiani, capace di abbracciare l’intero pianeta e perseguito con convinzione tra le nostre comunità e nelle nostre comunità, possa rappresentare un fermento di unità plurale anche nella nostra società.

Vi è poi un’altra dimensione che caratterizza questa peregrinatio: Papa Giovanni rappresenta con i suoi tratti e il suo stile una semplicità evangelica e sapiente capace di avvicinare chiunque, in qualsiasi condizione si trovi, a cominciare dai più piccoli e i più poveri. In una Chiesa ancora adorna di molti orpelli, Papa Giovanni comunica vicinanza a tutti e a ciascuno; quasi che nessuno gli fosse estraneo, a cominciare da chi si sente estraniato per la sua condizione sociale, culturale, umana. Una Chiesa povera per i poveri si incarna nella sua storia, nel suo stile, nella sua capacità di dare ospitalità a ciascuno. Nel tempo di trapasso che stiamo attraversando, evoca a ciascuno la possibilità di rendere maggiormente umana la nostra convivenza, partendo dall’attenzione nei confronti di coloro che maggiormente faticano ad essere riconosciuti ed accolti. Ed infine la sua presenza tra noi nel «segno» del suo corpo mortale ci riporta al grande evento del Concilio ecumenico Vaticano II e a ciò che rappresenta nella storia, per la Chiesa e per l’umanità. Il coraggio di porre nuovamente la questione del rapporto tra l’annuncio del Vangelo e la condizione dell’uomo contemporaneo, trova la sua espressione più audace e sorprendente nell’indizione del Concilio, i cui esiti sono ancora in gran parte da definirsi. Certo è un passaggio epocale nella storia della Chiesa e del mondo contemporaneo e l’umile Pastore, nato nella indimenticata Sotto il Monte, ne è stato la scintilla vivente. Non dimentichiamo il Concilio, non spegniamo il fuoco del Concilio.

Questi quattro messaggi che vogliono caratterizzare la peregrinatio, si coagulano attorno alla figura di un personaggio della storia, ma soprattutto e innanzi a tutto, attorno alla figura di un Santo. Il suo corpo mortale non è un totem o un feticcio: sono le reliquie di un uomo di Dio, che nella sua carne, nella sua umanità ha lasciato trasparire la verità e la bellezza del Vangelo. Ci avvicineremo con l’atteggiamento interiore che più si addice a ciascuno, ma anche con la consapevolezza che venerazione e devozione di un popolo, quello bergamasco e del mondo intero, si alimentano ad una testimonianza che ha preso i connotati della santità, della trasparenza alla bontà di Dio per tutta l’umanità e ciascuna persona umana. La preghiera che salirà sommessa o solenne non esclude nessuno, ma, come la sua carezza, vuole raggiungere ciascuno e nessuno dimenticare. Vi invito a ringraziare il Signore per il grande dono che la sua santità è stata per la Chiesa universale, e vi incoraggio a custodire la memoria del terreno nel quale essa è germinata: un terreno fatto di profonda fede vissuta nel quotidiano, di famiglie povere ma unite dall’amore del Signore, di comunità capaci di condivisione nella semplicità. Non dimentichiamo - dice Papa Francesco - che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa e il mondo.

*vescovo di Bergamo

© RIPRODUZIONE RISERVATA