Guerra dei dazi
Politiche europee

Si era temuto il fantasma di un mondo troppo globale e ci risvegliamo spaventati da mille particolarismi in mezzo ai quali domina la legge della giungla. Dazi è il vecchio nome rispolverato oggi di muri dietro ai quali si pretenderebbe di difendersi e che invece servono solo a camuffare le nostre paure. La nuova guerra commerciale è stata innescata, manco a dirlo, dal presidente americano Donald Trump con dazi Usa sulle importazioni di acciaio (con tasse record del 25%) e di alluminio (10%). La misura colpisce pesantemente anche il nostro Paese che, secondo i dati resi noti da Federacciai, nel 2017 ha esportato in Usa circa 500 mila tonnellate di questi metalli, con un fatturato di circa 700 milioni di dollari.

A titolo di esempio si è citata la Valbruna – azienda che opera fra Bolzano e Treviso – che, sempre lo scorso anno, ha esportato circa 40 mila tonnellate di acciaio inossidabile negli Stati Uniti. Vero è che gli Stati Uniti hanno capito che non è possibile alzare troppo le barriere e iniziano a stilare una serie di Stati da escludere dai dazi. Si sta valutando pure la posizione della Gran Bretagna che fornisce agli americani acciaio per la costruzione dei sottomarini.

Ma Londra fa parte ancora della Ue e proprio da Bruxelles è partito il lavoro delle diplomazie per trovare una posizione comune. Del resto proprio contro l’Europa Trump ha rivolto le sue accuse dicendo che «ci sfruttano col commercio e la difesa». Citando la difesa il presidente americano ha scoperto i limiti della sua politica. Appena arrivato alla Casa Bianca ha detto che l’Europa d’ora in poi avrebbe dovuto pensare da sola alla propria difesa perché gli Stati Uniti non avrebbero più ovviato con i loro armamenti. Questa politica americana ha accelerato la Ue sulla strada di una difesa comune e integrata da parte dei suoi Stati membri, convincendo ad aderire anche i più riottosi.

Tale accelerazione ha avuto un risvolto industriale rafforzando tutti i progetti europei di armamenti a scapito delle aziende americane. Tutto questo ha portato oltre oceano ad un ripensamento, invitando la Casa Bianca ad una maggiore prudenza. L’esempio della difesa mostra come l’Europa debba essere sempre più capace di risposte unitarie e coese per accrescere le potenziali diplomatiche di ogni singolo Stato.

Abbiamo un altro evidente esempio dell’importanza della coesione. Sul piano commerciale, ancor prima che con la politica dei dazi, Trump si è mosso con la politica monetaria attuando una spregiudicata linea ribassista del dollaro per favorire le proprie esportazioni. A questa politica finora la Bce si è opposta con una grande attenzione ai livelli di inflazione e cercando di contenere un anomalo rafforzamento dell’euro su scala internazionale.

Anche di fronte alla guerra dei dazi la Ue non potrà che rinsaldare una politica commerciale comune. Già in queste ore lungo questo cammino ci si è avviati mantenendo un doppio binario: il primo è quello di una coesione interna cercando anche di costringere su linee di politica comune gli inglesi che fino a che la Brexit non sarà effettiva fanno parte a pieno titolo dell’Unione (e proprio sull’interscambio commerciale con la Ue stanno trattando le possibilità di una uscita morbida). Il secondo binario è quello delle alleanze internazionali.

In maniera esplicita gli europei stanno dicendo a Washington che la politica americana ci sta gettando verso una duratura e consistente alleanza con Pechino, cosa che porterebbe ad un isolamento internazionale degli americani.

L’Italia a pieno titolo, malgrado le linee sovraniste dei partiti usciti vincitori dalle elezioni, dovrà partecipare attivamente a questo fronte comune europeo.

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