Il vicolo cieco
della sinistra Pd

Lo schema di gioco di Renzi prevede sempre un avversario e un simbolo da abbattere: in questa cornice la posizione critica della gauche interna è un assist per il premier. Tanto più che la logica renziana è sul crinale del conflitto fra vecchio e nuovo: su questo terreno non c’è partita per D’Alema e Bersani, percepiti come un passato non più proponibile, mentre l’urgenza delle riforme che sale dal Paese reale ha sorpassato la stessa battaglia anti Casta.

All’indomani del voto di fiducia al Senato sulla riforma del mercato del lavoro, passato anche con il sì della sinistra dem che s’è turata il naso e si è ulteriormente divisa, Renzi si.prepara alla visita a Bergamo di lunedì per l’assemblea di Confindustria con questo biglietto da visita e con il credito ottenuto in contemporanea dal vertice europeo sul lavoro a Milano.

Ma c’è dell’altro: il capo del governo torna sulla piazza bergamasca mentre incontra ancora il favore del mondo imprenditoriale e, in parallelo, ha dalla sua (sondaggio Ipsos di Nando Pagnoncelli) la maggioranza dei lavoratori, compresi quelli che votano Pd. Questo pone un problema politico, perchè questo nuovo pendolarismo dei ceti sociali indica che sta cambiando la base sociale del Pd, come del resto si era intuito da quel 41% incassato alle europee. Ed è una questione aperta specie per la sinistra interna e per il sindacato in perdita di velocità, in particolare per la Cgil che insegue la rivincita con la piazza del 25 ottobre.

Ovvio che la sinistra del Pd abbia serie difficoltà a star dentro questa nuova cultura che piccona un mondo che si va esaurendo e rappresentato dall’area laburista, ma rischia di finire in un vicolo cieco e di essere disconnessa dal nuovo Paese reale che si va componendo, piaccia o meno, non tanto sotto le insegne del Partito democratico ma di quelle del renzismo: cioè del partito pigliatutto del 41%. Ma quale prospettiva possono inseguire i vari Bersani, D’Alema, Cuperlo e Civati? La prima osservazione è che si tratta di un arcipelago diviso e frammentato: già i «giovani turchi» sono nella maggioranza, Civati è con un piede fuori, il tandem Bersani-D’Alema va da una parte, Cuperlo, titolare di una micro corrente, va dall’altra. Nell’ultima Direzione del partito dedicata al Jobs act, poi, il capogruppo alla Camera, Speranza, s’è astenuto mentre gli altri dissidenti hanno votato contro.

La seconda osservazione è che nei passaggi strategici per il governo la sinistra, pur con il mal di pancia, è costretta a chinare la testa come è avvenuto mercoledì al Senato: lo ha fatto per senso di responsabilità, per evitare l’impopolarità, per non accodarsi a Forza Italia tornata a fare opposizione senza sconti e per non offrire a Renzi un ulteriore vantaggio competitivo. I rapporti di forza fra maggioranza e opposizione variamente declinata (250 parlamentari contro neppure 150) impongono una coabitazione forzata che, fin qui, sta logorando lo spezzatino della sinistra e rafforza nell’opinione pubblica l’immagine di Renzi. Andarsene? Alle viste non c’è un Lafontaine italiano (il socialdemocratico che lasciò Schroeder per fondare la Linke), piuttosto un paio di generali con poche truppe che si muoverebbero negli spazi di un populismo di sinistra già occupati da Grillo.

In sostanza, se non vuole farsi del male, deve calibrare opportunità e rischi perchè se intende essere della partita è comunque obbligata a non portare alle estreme conseguenze il dissenso. Dissenso che è utile, in quanto il premier sul mercato del lavoro ha fatto delle aperture, cercando di coprirsi il fianco sinistro con l’estensione degli ammortizzatori sociali per i contratti a tempo e la legge sulla rappresentanza sindacale che è uno storico cavallo di battaglia della Cgil.

La prossima prova di maturità arriva martedì con la discussione in Parlamento della Nota aggiuntiva (relatore il bergamasco Antonio Misiani) del Documento economico finanziario che anticipa di un giorno l’approvazione della Legge di stabilità di 20-21 miliardi. Con due novità disallineate rispetto all’ortodossia tedesca: il pareggio di bilancio viene spostato dal 2016 al 2017 e il deficit previsto viene alzato dal 2,02 al 2,09%. Significa che 11 miliardi saranno finanziati in deficit: una tipica manovra anti austerità, cioè espansiva e di sinistra. Difficile definirla una stretta alla Thatcher.

© RIPRODUZIONE RISERVATA