Industria e sindacati
in cerca d’identità

Come quei pugili che si avvinghiano a centro ring per guadagnare tempo e fiato, Confindustria e Sindacati sembrano sempre più accomunati da problemi di identità e di ruolo. Nell’Italia disintermediata di Matteo Renzi hanno perso protagonismo e centralità. L’opinione pubblica generalizza, e mette sul conto dei grandi sindacati le vergognose vicende dello sciopero di 60 custodi a Pompei e dei privilegiati piloti Alitalia dimentichi del pericolo scampato, a spese dei contribuenti.

E, sul versante industriale, vive male vicende come quelle di Taranto, in cui la magistratura incrimina un’imprenditoria accusata di infischiarsene della salute ambientale. Poco serve che, entrambi abbastanza a ragione, Camusso ridimensioni i casi che pur sono sulle prime pagine di tutto il mondo, e che Squinzi denunci le «manine» anti-impresa che si annidano nelle Procure.

Sta di fatto che il ruolo sindacale non è più intoccabile e quello di Confindustria sempre più irrilevante, dando sostanza agli spiazzanti attacchi del segretario del primo partito della sinistra europea e alle eretiche provocazioni di Sergio Marchionne.

A quest’ultimo, proprio Renzi ha dedicato un passaggio elegiaco, o quantomeno acritico, non in un’occasione qualunque, ma sadicamente all’Assemblea nazionale del suo Partito, versando sale sulle ferite di un Pd già alle prese con gli imbarazzanti assist di un Denis Verdini.

Marchionne è a medio termine il vincitore, su due fronti contemporanei e opposti, della sfida anticonformista lanciata a Pomigliano sulla contrattazione, che non piaceva nè a Landini nè alla Marcegaglia. FCA ha rinnovato a giugno il contratto per 85 mila dipendenti italiani, l’azienda è in ripresa sui mercati e Chrysler si rivela la più riuscita mossa industriale transoceanica degli anni della crisi.

Un vera beffa, questo rinnovo trionfale, per gli appassionati del riti contrattuali, proprio nel momento in cui sono fermi in Italia metalmeccanici, tessili, alimentari e chimici e in particolare da sei anni tutto il mondo dell’impiego pubblico, luogo privilegiato di insediamento sindacale.

E, se non bastasse, è diventata di attualità la questione della regolamentazione degli scioperi, uno dei più formidabili tabù sindacali di sempre.

Piero Ichino, tornato nelle file Pd dopo che ne era uscito (con soddisfazione dei Fassina, ora a loro volta emigrati), ha limato le sue antiche proposte in materia, e sembra che stia per diventare governativa l’idea che la proclamazione di uno sciopero sia possibile solo previo consenso di più del 50% dei lavoratori interessati (o di sindacati a loro volta maggioritari).

Potrebbe finir presto, il tormento del conflitto tra lavoratori di diversi ambiti: pendolari contro ferrovieri, ad esempio.

Camusso annuncia «lotte» sul tema, ed è possibile che questo rianimi un po’ il lato sindacale, che ha bisogno di nemici e di bandiere, ma l’argomento del segretario CGIL appare piuttosto debole quando fa notare che le leggi elettorali non richiedono il 50,01%, ma molto meno, confondendo la governabilità di un Paese con la rappresentatività talvolta estremamente minoritaria di settori che incidono sul funzionamento di ambiti più larghi e generali.

Nessuno potrà mai mettere in discussione la sacralità costituzionale del diritto di sciopero, ma da quasi 70 anni sono molto parzialmente attuati gli art. 39 e 40 che dovrebbero regolare scioperi e sindacati (magari cogliendo l’occasione, per analogia, di regolare anche l’attività dei partiti politici, articolo 49).

Certamente per le associazioni sindacali e datoriali il momento è decisivo, perchè forse per la prima volta - con la sola eccezione del referendum sulla scala mobile - possono perdere la capacità di iniziativa anche politica.

Materia per lavorare bene insieme ce n’è tanta, a cominciare dall’attuazione delle intese sulla rappresentanza, che languono, e soprattutto dalla definizione di una nuova contrattualità, superando un conflitto solo di principio tra livello nazionale e aziendale, entrambi necessari, il primo per tante piccole imprese, l’altro per una risposta dinamica alla flessibilità dell’economia moderna. Per i pugili è suonato il gong. Il mondo va avanti, oltre le corde del ring.

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