Infangano il nome
dell’Atalanta e di Bergamo

Adesso basta. Se cerco di interpretare il sentimento della città di fronte all’ennesimo episodio di guerriglia urbana scatenato da una banda di sedicenti tifosi incappucciati, due sole parole mi vengono in mente: adesso basta. Non ne possiamo più.

Sappiamo perfettamente che quello che è successo sabato sera non c’entra nulla con lo sport, niente con Atalanta-Inter – una bellissima partita, arbitrata nel modo migliore, che probabilmente i protagonisti dei disordini neanche hanno visto –, niente con il vero tifo. Siamo stufi di vedere Bergamo blindata, con ingenti spese di denaro pubblico, per proteggere la gente perbene dalle spranghe e dai sanpietrini di quaranta deficienti, farabutti di vent’anni che giocano a fare i guerrieri trasformando la città in un campo di battaglia. Perché di questo parliamo: quaranta idioti violenti che mettono a repentaglio la sicurezza dei cittadini e infangano il nome dell’Atalanta e quello di Bergamo.

Adesso ci aspettiamo che qualcosa cambi anche nella reazione a fatti di questo tipo. Primo, ci aspettiamo che la dura condanna espressa dal presidente Percassi (ed è importante che l’abbia fatto in prima persona) sia seguita da comportamenti coerenti da parte della società e della tifoseria organizzata: zero rapporti con gli ultrà violenti, nessuna mediazione, collaborazione con le forze dell’ordine per la loro identificazione, prosecuzione dei programmi nelle scuole, collaborazione con l’Amministrazione comunale per dare vita insieme ai tifosi a progetti «riparativi» ogni volta che in città si verifichino danneggiamenti (comprese le scritte sui muri). Se l’Atalanta è la prima vittima dei violenti, come io credo, deve fare di tutto, ma veramente di tutto, perché questa gramigna velenosa sia estirpata dal corpo della vera tifoseria.

Secondo, ci aspettiamo che i responsabili degli scontri siano identificati e puniti. Puniti per davvero, intendo, con mano pesante, e puniti proprio loro, non tutti i tifosi dell’Atalanta come è invece accaduto lo scorso anno. Allora, di fronte agli incidenti che seguirono l’incontro con la Roma, la giustizia sportiva scelse di infliggere una sanzione esemplare: stop per tre mesi alle trasferte dei tifosi nerazzurri (quando è noto che gli ultrà bergamaschi non vanno in trasferta, rifiutando la «Tessera del tifoso») e stadio chiuso per tre mesi ai non possessori della «Tessera», come se il problema per i violenti fosse l’accesso allo stadio (non lo è: la partita, il campo, a loro non interessano; a loro interessano solo le rivalità, i presunti tradimenti del grottesco codice d’onore delle fazioni ultrà, i conti in sospeso da regolare).

Furono penalizzati quelli che non c’entravano nulla, mentre l’unica vera scelta di prevenzione, il divieto di trasferta a Bergamo per le tifoserie notoriamente in conflitto con queste frange violente, venne scartata a priori. Oggi vogliamo che a pagare siano invece proprio loro, quei pochi vigliacchi che nel buio preparano l’agguato ai pullman dei tifosi ospiti, che colpiscono gli agenti delle forze dell’ordine – cui va tutta la solidarietà e la gratitudine dell’Amministrazione comunale –, e mettono a rischio la nostra sicurezza.

Sono pochi e sempre più invisi ai cittadini, come hanno dimostrato anche i fatti di sabato. Adesso è il momento di acchiapparli e di punirli come meritano. Noi non vogliamo più saperne. La sola idea che il nome di Bergamo sia associato alla violenza, per colpa loro, ci indigna e ci fa vergognare.

*sindaco di Bergamo

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