Italcementi, i tagli
e un’attesa sul dopo

Tre punti fermi, dopo otto mesi e rotti di attesa. Il primo: a Bergamo, 400 posti di lavoro assicurati oggi dal quartier generale di Italcementi in via Camozzi non ci saranno più. L’orizzonte fissato da HeidelbergCement non è domani. Il 2020, però, è comunque dietro l’angolo. Da tempo si vociferava: «Resterà un terzo della forza lavoro attuale».

E così sarà: i numeri annunciati martedì dal gruppo tedesco danno corpo, nella loro crudezza, alle paure che da fine luglio in poi si sono aggirate per gli uffici e in città. Per 170 dei 400 si parla di ricollocamenti, ma sarà tutto da vedere, chiaramente, se, come e quanti potranno immaginare il loro futuro in Germania o altrove. Per 230 -260 ci sarà invece la Cassa integrazione straordinaria, autorizzata fino a settembre 2017. Per tutti un taglio sul vivo che brucia nelle storie dei singoli e delle famiglie che ci stanno attorno.

Il secondo punto fermo riguarda l’i.lab: sarà il quartier generale Italia di HeidelbergCement e sarà il centro ricerca di gruppo sui nuovi prodotti. Cosa significherà questo secondo aspetto sarà da capire: se si tratterà solo di mantenimento dell’esistente, di quel pool di intelligenze che hanno dato vita alle innovazioni degli ultimi anni, dal cemento mangiasmog al bianco cemento biodinamico di Palazzo Italia a Expo, o se invece anche di un rafforzamento. Il terzo punto fermo è su Calusco: la struttura produttiva italiana resta, compresa la cementeria bergamasca, per il cui destino negli ultimi mesi si è temuto, visto l’inedito fermo del forno per cinque settimane, tuttora in corso, spiegato da contingenze di mercato.

Va da sè: il dato sulla sede di via Camozzi, che oggi conta 629 persone, è pesante. Heidelberg era stata molto chiara fin da subito: «Non è nel nostro stile avere due sedi centrali». I numeri dichiarati martedì ne sono la conferma. La proposta dei sindacati di immaginare a Bergamo una sede regionale per il Sud Europa non ha sortito effetti e, a maggior ragione adesso, è ben difficile pensare (anche se si può sempre auspicare) che quello che sarà il secondo gruppo mondiale del cemento avrà ripensamenti su questo fronte. C’è da augurarsi almeno che si trovino reti adeguate per chi da qui al 2020 non arriverà alla pensione, non troverà un altro posto di lavoro o non sarà nelle condizioni di poter seguire la via del ricollocamento in altre sedi della multinazionale tedesca.

E se la questione lavoro è centrale, c’è anche una questione industriale che emerge dalla vertenza. È un’amara constatazione, ma è evidente che Italcementi versione Heidelberg non sarà più a Bergamo ciò che è stata per lunghi decenni. Ma dobbiamo rassegnarci a questo dato di fatto o è lecito chiedersi se ci sarà un dopo? Il consigliere delegato di Italcementi, Carlo Pesenti, ha avuto modo di dichiarare che «la liquidità generata dalla cessione (il valore della vendita è 1,67 miliardi, compreso un massimo di 760 milioni in azioni Heidelberg, Ndr) potrà essere, nel pieno rispetto dei piani e della governance di un’azienda quotata, la leva per intercettare nuove frontiere di sviluppo». Viene in mente un’altra esperienza nata in casa Italcementi solo sedici anni fa. È BravoSolution, la società di gestione delle forniture on line che fa risparmiare l’amministrazione del Regno Unito. Certo: i suoi 76,9 milioni di ricavi nel 2015 non sono nemmeno lontanamente paragonabili ai numeri di Italcementi, dove si parla di un miliardo e passa di fatturato, e la sua sede principale non è a Bergamo bensì a Milano. Però è pur sempre una storia di innovazione che dal 2000 a oggi ha creato parecchi posti di lavoro.

Si potrà replicare, in altri settori emergenti, manifatturieri o affini, magari qui in città e magari con numeri ancora maggiori? C’è da augurarselo. Anche se, come è normale, i tempi per vedere i frutti di nuovi possibili investimenti non saranno brevi. E ciò che resta, per il momento, è la ferita di 400 posti di lavoro che a Bergamo non ci saranno più.

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