La crisi pesa
Piccoli Trump crescono

Piccoli Trump crescono: anche quest’anno? Il 20 gennaio il nuovo presidente s’insedia alla Casa Bianca alla guida di un Paese che si muove in una terra incognita, mentre per l’Europa inizia una maratona elettorale: a marzo l’Olanda, in primavera le presidenziali in Francia, in autunno il voto in Germania e in più il rebus delle elezioni anticipate in Italia. Il fenomeno Trump, pur essendo nei suoi tratti dirompenti molto americano, segue la Brexit e la fase espansiva dei partiti nazional-populisti europei. C’è una linea di continuità fra le due sponde dell’Atlantico e questa volta il tono di una stagione non invidiabile non è partito dalla superpotenza, ma dal pachiderma Europa, un soggetto politico non ben definito.

Il 2016, nel radicalizzare le incertezze sul futuro, ha segnato la sconfitta degli esperti e degli intellettuali dinanzi all’onda d’urto dei vinti e dei dimenticati, la «moltitudine del rancore» come l’ha chiamata il sociologo Aldo Bonomi. Riteniamo di sapere le cause di questo scontento generalizzato: le promesse tradite dalla narrazione liberale di una ricchezza crescente e condivisa, l’impatto della globalizzazione sui ceti medio-bassi, la perdita di status sociale, l’irrompere delle diversità in equilibri consolidati, la crisi della rappresentanza, l’autosufficienza delle élites, l’austerità dogmatica, la crescita delle disuguaglianze che ci trasciniamo come lascito dell’era Reagan-Thatcher, il terrorismo, l’insicurezza. Ma dobbiamo concludere di non conoscere ancora tutto, perché uno tsunami di questo genere ha in sé un male oscuro che agisce nella profondità della psicologia e delle emozioni collettive che non si lasciano prendere.

La domanda è se l’effetto Trump rappresenta un moltiplicatore per le forze anti-sistema in grado di influenzare i nuovi equilibri e se la marcia dei populisti è destinata a proseguire o ad arrestarsi, specie nella dorsale della costruzione comunitaria: Germania, Francia, Italia. La coincidenza di più elezioni aggiunge stress a stress e potrebbe paralizzare un sistema già bloccato dai veti incrociati dei singoli Paesi.

Si può morire, per paradosso, anche per un eccesso di democrazia in una Ue dove i turni delle urne sono di fatto senza soluzione di continuità: se fino a ieri il singolo scostamento rispetto al quadro politico generale era uno starnuto, oggi diventa un terremoto. Il ventre molle è la Francia e, in parallelo, la Germania. Può essere, come è già successo, che il sistema elettorale a doppio turno sbarri la strada a Marine Le Pen attraverso l’alleanza «obbligata» fra socialisti ed ex gollisti, ma in ogni caso la malattia non sarebbe risolta. Il principio democratico impone di chiedersi fino a che punto sia sostenibile un’ingegneria istituzionale che taglia fuori una rappresentanza che, pur impresentabile, è maggioritaria nel Paese, alimentandone le teorie cospiratorie e in definitiva assecondando il suo gioco.

Comunque vada, il Fronte nazionale – il più strutturato e il più moderno nel suo genere, in grado di coprire lo spettro dall’estrema destra all’estrema sinistra – rischia di aver già vinto la battaglia delle idee apocalittiche e senza sfumature, riuscendo a imporre una specie di agenda culturale attraverso il trittico che domina il dibattito pubblico: islam, insicurezza, immigrazione.

Più fluida, ma non meno preoccupante, la situazione in Germania, almeno per quel che significa oggi questo gigante e per il peso delle sue tragedie storiche: stabilità istituzionale, moderazione politica, benessere diffuso ed equilibrato, disciplina civica. Il pericolo è che per la prima volta entri a gonfie vele nel Bundestag la destra xenofoba.

Quelle descritte sono soltanto una delle varianti possibili, mentre le variabili dei governi sono ridotte e anche questo aiuta l’Internazionale degli scontenti: gli esecutivi quasi sempre sono bocciati in una sorta di referendum continuo, ma le politiche non possono mutare più di tanto per via dei vincoli di bilancio.

Lo sa perfettamente la Grecia di Tsipras, mentre al più si possono ottenere deroghe come nel caso del governo Renzi, tuttavia il perimetro è segnato. Sotto l’ombrello di questa Europa lontana dal sentire popolare i partiti storici non possono combattere alla pari, perché subiscono il vantaggio competitivo e le mani libere di chi insegue l’attacco al vecchio ordine europeo: l’eredità velenosa di un passaggio d’epoca, non una semplice fatalità

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