La sfida dei colossi
Internet alle banche

La nuova direttiva Psd2 (Payment service directive) emanata dall’Unione europea, che diverrà operativa dal settembre prossimo, porterà con sé un’onda d’urto dirompente nel rapporto fiduciario banca-cliente. Il provvedimento, infatti, impone alle banche di aprire a terze parti, opportunamente autorizzate dai clienti, le «porte» dei conti e dei dati in loro possesso.

Ciò significa che a brevissimo i noti colossi del web e della tecnologia (fintech) come Apple, Google, Facebook, Amazon, Microsoft e la cinese Alibaba diverranno loro concorrenti, avendo la possibilità di offrire servizi sempre più sofisticati e appetibili. Avranno l’accesso ad ogni informazione sui conti dei clienti delle banche e la conseguente possibilità di analizzare i loro comportamenti di spesa. Non solo, potranno anche effettuare pagamenti verso qualsiasi beneficiario, addebitando direttamente il conto del cliente.

Le banche tengono traccia di tutto ciò che facciamo con i nostri soldi, sanno come li spendiamo, se chiediamo o diamo un prestito, quanto spendiamo in bollette, rate di mutuo, viaggi ecc. Con l’introduzione del principio di «Open banking», si consente di trasmettere queste informazioni a terze parti che potranno proporre nuovi prodotti e servizi sempre più orientati a cogliere le mutevoli esigenze dei clienti, soprattutto per ciò che riguarda lo «shopping online». Oggi, per comprare un prodotto su Amazon, il rivenditore contatta l’acquirente che entra in contatto con Visa o MasterCard per prelevare il pagamento dalla carta. Aprendo i dati alle banche si potrà pagare direttamente dal proprio conto in modo più veloce, senza commissioni e senza intermediari, previo permesso del titolare della carta. In pratica con un solo clic si potranno fare acquisti, pagare bollette o monitorare le spese sul conto. Sarà possibile anche aggregare e gestire le carte su un’unica piattaforma, avendo conti su banche diverse. Tanto per chiarire la portata del cambiamento, secondo una recente ricerca di «Accenture», per le banche tradizionali dove le grandi fintech sono già presenti - Cina, Nord America e Regno Unito - sono a rischio il 20% dei ricavi. In Europa il rischio è stimato al 9%, almeno per il momento. Sul piano regolamentare, le banche italiane hanno risposto a questa sfida costituendo, per iniziativa dell’Abi, un Consorzio che ha sviluppato una piattaforma internazionale (Cbi-Globe) per collegare banche e fintech. Lo scopo è consentire a tutti gli aderenti maggiore speditezza nell’adempimento degli obblighi della Direttiva in materia di colloquio telematico per lo scambio di informazioni e pagamenti con terze parti, garantendo un elevato livello di protezione alla clientela.

Ciò non toglie che per i big del comparto tecnologico diverrà agevole vendere servizi finanziari soprattutto ai cosiddetti «millennial», i giovani nati dal 1980 in poi. Questa generazione, nata e cresciuta nell’era digitale, ragiona con logiche ben diverse da quelle dei loro genitori e quando dovranno scegliere un fornitore di servizi finanziari, si fideranno molto più delle informazioni che raccoglieranno sul web. Insomma, è in atto una mutazione senza precedenti di portata epocale. In un sistema Paese come l’Italia, storicamente abituato a «salvarsi» grazie a protezionismi, caste e barriere istituzionali d’accesso, il mondo del credito si trova improvvisamente a doversi confrontare con nuovi competitor assai più agili nelle dinamiche decisionali e nelle strutture operative, da oggi pronti ad «aggredire» ogni spazio di business lasciato libero dalle banche. «Se non è vietato è obbligatorio» è il titolo alquanto antesignano di un breve racconto umoristico dello scrittore americano Dave Eggers. La rivoluzione è cominciata.

© RIPRODUZIONE RISERVATA