La trasferta dei romanisti
tra realismo e fini nobili

Si può considerare normale una domenica di calcio che termina con sei persone - tra agenti e steward - ferite e 450 uomini delle forze dell’ordine schierati per evitare incidenti? Ed è giusto che mezza città viva un pomeriggio in stato d’ansia, tra sirene, incroci militarmente presidiati, convogli scortati come neppure per il presidente degli Usa, poliziotti e carabinieri in assetto anti-sommossa, lanci di bombe carta, bottiglie e bastoni, cariche, lacrimogeni? No, il dopo partita di Atalanta-Roma è stato un vero delirio, e vien da stigmatizzare chi all’Osservatorio del Viminale ha autorizzato la trasferta di 1.400 tifosi romanisti.

Al netto delle derive complottistiche («Sono venuti perché a Roma ci sono gli appoggi politici giusti»), vien da sospettare che chi ha deciso abbia le fette di salame sugli occhi. La rivalità tra le due tifoserie è infatti nota pure ai bambini dell’asilo e, se anche uno non lo sapesse, basterebbe fare un piccolo sforzo di memoria: gli ultimi scontri tra le due fazioni risalgono giusto a due anni fa, mica al secolo scorso.

E allora, come ha potuto lasciare la capitale il nutrito gruppo di supporter giallorossi s enza cozzare contro il buon senso? Lo ha potuto fare perché all’Osservatorio ha prevalso la filosofia delle pie intenzioni su quella del drastico realismo. Insomma, apertura di credito a chi sottoscrive la tessera del tifoso (o card simili), precedenti negativi presto cancellati con una specie di messa alla prova. I tifosi della Roma in questa stagione di serie A (a Vienna, in Europa League, no) si erano sempre comportati bene, anche quando si erano mossi in più di 4.000 (e grazie, verrebbe da obiettare: si trattava di gare con Empoli e Sassuolo con le cui tifoserie i giallorossi non hanno conti in sospeso). Dunque, via libera anche per Bergamo. E i tafferugli del novembre 2014 nella nostra città? L’Osservatorio deve aver considerato che gli scontri all’epoca erano stati causati dagli ultrà atalantini e che il contatto era avvenuto solo con la polizia, non con i rivali. Il ragionamento non fa una piega. Ma allora perché lo scorso anno Atalanta-Roma era stata vietata ai tifosi capitolini?

Per carità, l’apertura di credito dal punto di vista teorico è lodevole. Faccio concessioni per educare, per favorire il dialogo e non passare come aguzzino nei confronti di una categoria di persone che, tra l’altro, ha assunto per certi versi le sembianze del movimento politico. Anche perché, vietando le trasferte al minimo disordine, si rischia di consegnare i trasfertisti tranquilli - che sono la maggior parte - nelle mani di una minoranza di facinorosi. Che si troverebbe a decidere con le proprie cinghie e bombe carta anche il destino fuori porta della tifoseria sana.

E, però, questa nobiltà d’intenti ha un prezzo. Che sono le centinaia di agenti mandati a presidiare i piazzali degli stadi in occasione di ogni partita a rischio, gli eventuali feriti, le famiglie che se ne guardano bene dal portare i figlioletti sugli spalti.

E qui si passa alla filosofia della drastica realtà. Impedire una trasferta in odore di disordini è sì, astrattamente, una lesione alla libertà di spostamento di ciascuno. Ma qualcuno ha pensato al diritto degli assediati - come lo sono gli abitanti della zona Comunale - di trascorrere domeniche senza dover calcolare orari di uscita da casa, architettare accorgimenti per l’auto parcheggiata in strada, insomma, di non dover ogni volta adottare tattiche da coprifuoco? E, per giunta, solo per una partita di pallone, per poter consentire a qualche ultrà di giocare al guerrigliero urbano. Non ci sono ideali, nemmeno i più sbagliati, a giustificare la loro violenza. Il loro sembra diventato più un gioco di ruolo, con acerrimi rivali che la sera vanno a bersi la birra insieme e l’indomani si prendono a sprangate perché così vogliono l’orgoglio e la tradizione. Il prezzo però è diventato troppo alto per i loro svaghi da cortile. E a pagarne il conto è soprattutto chi con queste pratiche non si diverte affatto.

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