Lavoro, improvvisare
non serve a nulla

A dieci anni esatti dall’inizio della crisi partita dall’altra parte dell’Oceano, che anche a Bergamo ha fatto strage d’imprese, posti di lavoro e fiaccato il morale della gente, tornare a parlare di assunzioni fa un po’ strano. Eppure, grazie ad una produzione industriale che si consolida (+0,5% nel secondo trimestre e un robusto +2,3% su base tendenziale), gli ordinativi che aumentano (un energico +7,6% sull’estero, il 3,9% in Italia), i segnali che le aziende orobiche sono tornate a cercare personale ci sono.

Quasi 19 mila quelle previste a Bergamo secondo l’ultima rilevazione del Sistema Excelsior. Ma con la crescita del numero di posti (potenziali) a disposizione, aumenta il divario tra le richieste delle aziende in termini di profili professionali e disponibilità sul territorio di personale con la formazione giusta per coprire i posti vacanti. Un divario, gli anglofoni parlano di «mismatching», che nella nostra provincia raggiunge il 25% dei casi. In parole povere, un posto di lavoro su quattro oggi rischia di non essere occupato. Tre mesi fa era il 22%. Nel 2016 il gap si era fermato al 16% anche se alla fine dell’anno il rapporto Excelsior ci segnalava solo 13.490 assunzioni programmate.

Come spiegarsi questa difficoltà a fronte di tante persone alla ricerca di un’occupazione? È vero che la nostra provincia vanta un tasso di disoccupazione tra i più bassi in Italia – il 5,3% a fronte dell’11,3% in Italia e del 7,4% della Lombardia, secondo la ricerca Ires commissionata dalla Cgil –, ma basta scrivere un articolo sul tema per essere subissati di messaggi di persone che sostengono di aver inviato decine di curriculum e non avere mai trovato lavoro e nemmeno ricevuto risposta. Possibile, anche se un po’ stupisce sapere che oggi l’11% dei bergamaschi disoccupati (fonte Ires) «non partecipa» attivamente alla ricerca di un posto lavoro. La controprova di una notizia che fa a pugni con la tradizionale laboriosità dei bergamaschi? Il caso della Nts spa di Lallio che, a fronte di un aumento delle commesse, ha faticato a trovare personale per coprire il terzo turno giornaliero che comporta il lavoro notturno.

La spiegazione del perché di questo gap tra domanda e offerta è semplice: le aziende sono cambiate, la crisi le ha costrette a riorganizzarsi, puntare sull’innovazione, andare alla ricerca di commesse all’estero, misurarsi con una concorrenza sempre più agguerrita. Ma come succede in tutte le sfide, chi alla fine resta in piedi non è più lo stesso. Sa che può fare di più e meglio di prima. Lo stesso per le aziende bergamasche che dopo le ristrutturazione ora tornano ad assumere, cercano personale con un profilo professionale diverso anche solo di cinque anni fa. Personale più qualificato. E non si tratta solo di dirigenti o posti di lavoro al top. Servono non solo progettisti, ma anche ingegneri, esperti informatici, chimici e fisici per cui la richiesta è ampiamente insufficiente rispetto alla domanda (il 55% delle aziende segnala difficoltà nel trovare personale di questo tipo).

Il mercato del lavoro a Bergamo oggi ha fame di maggiore competenza in tutti i settori. Persino nell’edilizia, l’ultimo settore dell’economia bergamasca a dare segnali di risveglio e che cerca operai specializzati, in particolare nelle ristrutturazioni. Non basta fare, bisogna saper fare bene. Anche il muratore. E soprattutto bisogna aver voglia di fare e oggi questo pare essere uno stimolo venuto un po’ meno. Anche a Bergamo. L’improvvisazione è bandita sia sul lavoro che a scuola chiamata a formare i lavoratori del futuro.

Come ogni rivoluzione industriale, anche quella che sta venendo avanti con il modello produttivo dell’Industria 4.0, comporta un riposizionamento in campo. Sbandierare semplicemente lo spettro dei robot che prenderanno il nostro posto in fabbrica o negli uffici non serve a niente, se non a incutere paure fini a se stesse in un progresso che non si può fermare ma può e deve essere governato. Oggi più che mai studiare, scegliendo magari l’indirizzo scolastico giusto, è importante senza per questo tarpare le ali alle legittime aspirazioni e ai talenti di ognuno. Perchè non siamo mai semplicemente il lavoro che facciamo. Anche gli esperti ci dicono che dietro un programmatore di un robot spesso c’è, oltre che un tecnico capace, un appassionato d’arte o di filosofia. Ma soprattutto c’è dietro una persona. E questa resta sempre una garanzia.

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